Giorgio Batini, Per chi suona la Toscana. Storie curiose di campane e campanili
Corrispondenza, 01-12-2007, ––
L’A. È universalmente noto in terra toscana avendo al suo attivo numerose pubblicazioni ed avendo in genere soddisfatto i palati sia del pubblico che della critica. Certamente egli dimostra nelle sue opere una profonda e intelligente conoscenza della nostra regione – sia che si parli d’arte, di storia civile e/o ecclesiastica, di usi e costumi, ecc. - unita ad affetto e attaccamento passionale per la gente – di oggi ma soprattutto di ieri – e per i fatti e fattacci che qui hanno riempito le cronache. In questa sua opera si parla di campanili e di campane, argomento quanto mai accattivante in una terra caratterizzata da sfrenate rivalità come ci ricorda l’incipit della Pia de’ Tolomei:Negli anni che de’ Guelfi e Ghibellini / Repubbliche a que’ tempi costumava, / Batteano i Cortonesi e gli Aretini, / Specie d’ogni partito guerreggiava: / I Pisa
ni battean coi Fiorentini, / Siena con le Maremme contrastava; / E Chiusi combattea contro Volterra... / Non v’era posto che un facesse guerra. E perciò parlare di storia di campane e campanili è come ricostruire le vicende delle varie congregazioni, delle chiese, dei borghi e delle città, sia che si tratti dei normali inviti alla preghiera o di chiamate alla guerra (la “martinella” del carroccio), sia che si suoni per scandire le ore della giornata o per allontanare le tempeste o per indicare la direzione di marcia ai pellegrini della Francigena (la “smarrita”). Ma la più varia aneddotica popolare spazia per tutta la regione raccontando di campane rubate e di campanili in affitto, di bronzi fusi e rifusi più e più volte, di concerti talmente armoniosi da ispirare persino Puccini...Tutto questo mondo – qui condensato in una cinquantina di
storie – oramai non c’è più e nelle città lo scampanio è quasi sommerso dai mille rumori quotidiani; resiste nelle campagne, grazie soprattutto ai congegni a tempo con i quali si programmano i “cenni” per le cerimonie religiose e che sopperiscono alla mancanza dei sacrestani e facilitano il lavoro di preti sempre più anziani. Perché quasi più a nessuno si attacca alle funi (del resto scomparse con l’elettrificazione delle campane) e sono ormai archeologiche i racconti degli ex-giovani che, al paesello, suonavano a distesa per tutte le feste grosse e, per la processione del Corpus Domini, infradiciavano di sudore la camicia buona (ma la regola era quella di “tirare” dalla partenza del baldacchino fino al suo ritorno alla chiesa) con la sola ricompensa di un cantuccino e un bicchierino di vinsanto. Ma che doppi, però...