Con Pinocchio ho riscoperto la vita
Libero, 09-01-2008, Marcello Veneziani
Uomini o burattini. Torna il capolavoro di Collodi illustrato dalle xilografie di Bartolini. Quella storia di redenzione insegna a non essere semplici marionette Ho avuto un tuffo al cuore nel vedere la mostra romana, il catalogo e poi il libro di Pinocchio illustrato da Sigfrido Bartolini. Ho ritrovato un amico, anzi tre. Il primo, che ho conosciuto di persona, è Sigfrido Bartolini, che impiegò dodici anni per illustrare l’opera con 309 xilografie, ora ristampata dall’editore Mauro Pagliai e la Fondazione C. Collodi. Un libro arricchito dalla prefazione del grande pedagogista Luigi Volpicelli, che frequentai da ragazzo. Ricordo con particolare tenerezza e ammirazione Sigfrido Bartolini, la sua coerenza e la sua maestria, il suo basco sulla testa e il suo odore antico di Toscana, di Soffici e Papini, di campagna e di legno, come quello di Mastro Ciliegia. Lo conobbi proprio all’epoca del suo Pinocchio, venticinque anni fa, e cercavo casa. Lui me ne regalò una da affliggere al muro, con dedica cerca casa, che campeggia in casa mia. Casa toscana di campagna, vagamente pinocchiesca, anche nei colori. Il secondo amico che ho ritrovato è Collodi, mio maestro di asilo figurato, che popolava i miei sogni alternandosi con Omero. Omero rappresentava il lato grande, epico; lui il lato piccino. Il terzo amico è naturalmente Pinocchio. Per me Pinocchio non è mai stato un libro o un film, come quello di Benigni: è una figura dell’infanzia, un compagno di giochi, una persona che godeva di uno strano privilegio, di abitare contemporaneamente tra gli umani e i balocchi. La sua doppia cittadinanza nel regno onirico dei giocattoli e in quello reale dell’infanzia, faceva di Pinocchio una creatura anfibia, una specie di eroe dei due mondi, quasi un piccolo Virgilio che ti guidava nella gita tra la realtà e la fantasia, tramite inferni, purgatori e paradisi.Vita e leggenda.  Il libro di Collodi era per me il racconto di un personaggio vero, la cronaca di una leggenda che si faceva vita. Della sua storia, oltre il naso etico che si allungava con le bugie, mi colpiva soprattutto il finale passaggio dalla condizione di burattino a quell
a di bambino, tramite miracolo e buona condotta. Anch’io a volte quando mi svegliavo, vedevo in mia madre la fata turchina, meno bella ma più accessibile e presente; al risveglio mi pizzicavo le guance per verificare se fossero di legno o di carne. Temevo infatti che ci fosse anche un Pinocchio di ritorno, ovvero il rischio di regredire dallo stato di bambino a quello di burattino, in seguito ad un comportamento birbantesco. Sin da piccolo pensavo che oltre i progressi ci potessero essere i regressi, oltre le evoluzioni anche le cadute; si vede che reazionari si nasce ... Di Pinocchio mi colpivano due cose: l’abecedario comprato con grandi sacrifici da Mastro Geppetto e poi venduto dall’ingrato burattino; e la sua trasformazione in asino in seguito al suo comportamento da ciucco. Erano due cose che in modo diverso mi stringevano il cuore. Mi faceva particola mente pena Mastro Geppetto, la sua solitudine che lo costrinse a costruirsi un burattino per farsi compagnia, il suo statuto triste di single, privo di moglie e di famiglia, la sua povertà e i suoi patimenti per l’inafferrabile figlioccio. Mi dispiaceva che la fata turchina fosse troppo giovane, carina ed evanescente per prendersi come marito un vecchio sfigato come Mastro Geppetto; ma il mio sogno era di trovare una madre a Pinocchio ed una moglie al suo dolce padre, che mi ricordava troppo il suo collega falegname san Giuseppe. Gli altri personaggi di Pinocchio non riuscivo ad immaginarli come parti letterari della fantasia: di mangiafuoco, e di lucignoli vedevo alcuni esemplari al mio paese, per non dire del Gatto e della Volpe che avevo identificato in due caporali furbi e inseparabili che di sera in piazza assumevano i braccianti. E di grilli parlanti ne conoscevo almeno un paio, bassini e saccenti, che frequentavano il locale circolo professionisti. Non c’era sito pinocchiesco che non fosse da me identificato in luoghi veri: la campagna e l’albero di denari, le giostre e i teatrini, perfino la bottega di mastro Geppetto erano da me localizzati in Bisceglie e nel suo agro. Solo il ventre misterioso della balena trasformato in una mansarda, illuminata da una lampada a fuoco che non le dava bruciore a
llo stomaco, mi sembravano davvero cose dell’altro mondo, una specie di Aldilà nascosto nelle profondità del mare. A sette anni cominciai ad immergermi in mare con la maschera, nella speranza di un incontro favoloso con l’accogliente balena di Pinocchio. Più tardi identificai il suo ventre in una antica tomba di famiglia.Il realismo magico. Mi deluse invece la visita nel parco di Collodi in Toscana; non mi parve un luogo incantato, piuttosto un banale giardino pubblico in memoria di Pinocchio. Abitava in Puglia il mio Pinocchio, nei luoghi mitici e reali dell’infanzia; e non in un parco giochi con biglietto d’ingresso e rivendita di burattini. Il fascino di Pinocchio è nella magia di riuscire ad intrigare i bambini di epoche e mondi diversi e insieme apparirti domestico, familiare, locale, tutto tuo. La vera universalità è quella che parte dalla provincia, e nel microcosmo rintraccia i segni del cosmo intero; il vero mito è quello che sa coinvolgere la realtà, i sogni più belli sono quelli che si impastano con la vita quotidiana. Realismo magico. Il Pinocchio illustrato da Bartolini rende la magia dell’opera, il color muschio che prevale lo fa vivere come un sogno. Pinocchio è un gran libro perché stuzzica la fantasia e rende migliori: la sua trasformazione estetica combacia con la trasformazione etica, e la fatina somiglia troppo alla Madonna per non dedurre anche un significato religioso di redenzione. Da grande, la lettura di Pinocchio del Cardinal Biffi o quella di Giorgio Manganelli mi hanno convinto che avevo più da bambino che da adulto. Prima di Collodi, lo aveva detto Platone; siamo giocattoli nelle mani degli dei. Si nasce burattini, solo a fatica taluni diventano uomini. Magari quando è troppo tardi. L’editore Mauro Pagliai e la Fondazione Collodi hanno appena ristampato l’edizione de Le avventure di Pinocchio (pp. 384, euro 28) illustrata da Sigfrido Bartolini (21 gennaio 1932 – 24 aprile 2007). L’artista toscano realizzò per l’occasione 309 xilografie, prevalentemente in legno, e curò personalmente l’impaginazione del volume.