Al suono delle campane
d’Ex Toscana, 01-11-2007, Alessandro Monti
Hanno scandito per secoli i ritmi della vita civile e religiosa. E ancora oggi sono simbolo di appartenenzaSi fabbricano da quando l’umanità ha iniziato a lavorare il metallo. E da allora scandiscono il tempo e uniscono le persone, invitando alla guerra ed al raccoglimento religioso, chiamando alla festa e annunciando i pericoli. Sono le campane, antichi strumenti musicali che nei secoli hanno simboleggiato la forza e l’unione di una comunità. In Toscana ce ne sono tantissime, e non potrebbe essere diversamente in una terra caratterizzata da campanili e campanilismi. Senza una campana, nessuna comunità è veramente tale. Fino ad anni non troppo lontani ha scandito i tempi dell’esistenza: senza una campana non ci sarebbe potuta essere una vita comune nei villaggi, né relazioni tra paesi e parrocchie. È un richiamo collettivo, quello del suono della campana, soprattutto un simbolo di appartenenza. Per questo è da sempre tanto amata tra coloro che vivono sotto di lei. Così amata che ognuna- soprattutto se si tratta di un esemplare “storico”, o di particolare importanza- ha il proprio nome, segno di identità specifica. Simili nelle forme, diverse per suoni e dimensioni, tutte accomunate dal materiale con cui sono costruite, il bronzo. Che a volte finiva per essere rifuso per costruire cannoni (ma altre volte anche alcuni cannoni si trasformano in campane).
Con il suono della campana si scandivano i ritmi della quotidiana. Così si potevano ascoltare i rintocchi all’alba (mattutino), alla nascita del sole, del mezzogiorno (per segnalare la sospensione dei lavori agricoli per mangiare), del vespro, all’imbrunire. Rintocchi per cercare i capi dispersi ecc. Altre volte annunciava gli atti liturgici: la messa, il rosario, il catechismo, l’innalzamento dell’Ostia. La campana festeggia la vita e annuncia la morte, con rintocchi lenti e profondi. E ancora come regolatrice della vita comune, per la regolazione dei passaggi, per avvertire del fuoco e per altri tipi di allarme. Persino per segnalare la giusta via ai pellegrini in cammino. Un percorso in cui le campane ci raccontano, con voce laica o religiosa, la nostra storia trascorsa è quello- che si svolge tutto nella nostra regione- descritto da Giorgio Batini in “Per chi suona la Toscana. Storie curiose di campane e campanili”. Un’ampia antologia di aneddoti di campane che suonarono «a distesa», «a festa», «a doppio», di campane «a martello» e «a stormo», «a fuoco», «a scongiuro», «a tempesta»,o «ad acqua bona». Per
chi suona la Toscana, che parafrasa simpaticamente il titolo del celebre romanzo di Hemingway, Per chi suona la campana, è un appassionante viaggio nella storia delle campane e delle torri civiche della regione, e delle loro curiose vicissitudini. Troviamo la vicenda di un bronzo che fu punito per decreto (la “Piagnona” del Savonarola, una delle campane più grandi d’Italia), la storia della “Smarrita” di Altopascio, che indicava la strada ai viandanti sulla Francigena, e quella della “Martinella” che i senesi conquistarono ai fiorentini durante la battaglia di Montaperti. E poi ancora aneddoti curiosi. Come l’interdetto lanciato da Papa Eugenio III contro Firenze, che aveva conquistato il castello di un nobile partito per la crociata in Terrasanta: per 5 anni, tutte le campane fiorentine furono costrette a rimanere mute. Un caso davvero particolare fu quello dei monaci benedettini della Badia Fiorentina: nel 1307, anziché suonare i loro bronzi per le ore canoniche (la città, come ricordava Dante, traeva «e terza e nona» proprio dal campanile della Badia), li suonarono a martello contro le tasse imposte dal Comune, quasi un invito per i cittadini alla rivolta fiscale. L’espediente non funzionò, e il Comune reagì pesantemente. L’episodio forse più famoso, che risale al 1494, è quello legato alle parole del gonfaloniere di Firenze, che allora era Pier Capponi. «Suonate pure le vostre trombe- replicò il Capponi al re di Francia Enrico IV che minacciava Firenze- che noi suoneremmo le nostre campane». Un suono che avrebbe invitato i cittadini a prendere le armi. Non ce ne fu bisogno, perché il re francese preferì desistere. Ma le campane di Firenze svolsero comunque il loro ruolo. Anche rimanendo mute. La voce della guerra
Era la campana di guerra del popolo fiorentino. La celebre “Martinella”, la campana che sul carroccio del Comune accompagnava le bandiere e gli stendardi in battaglia, e chiamava i cittadini a prendere le armi. In origine era custodita nella chiesa di Santa Maria Sopra Porta, ma nel 1260 fu predata dai senesi, durante la battaglia di Montaperti, e non fece più ritorno in città. Attualmente si trova custodita nella sede della contrada del Liocorno, nella città del Palio.I tre suoni del palazzo
Tre sono le campane sulla torre di Arnolfo di Palazzo Vecchio. Una è la campana del Popolo, ed è la seconda con questo nome. L’originale, che era uno dei più grandi bronzi d’Italia, fu fatta fondere dal Duca Alessandro come spregio alle libertà repubblicane che erano state
abolite nel 1530: con il bronzo ottenuto furono coniate delle monete. La seconda è la Tojana, che risale al 1259: fu predata in un castello della Val d’Era. La terza è la campana del Leone, così chiamata perché collocata sotto il Marzocco della cella campanaria.La benefattrice degli ortolani
Nella torre campanaria di Santa Maria Maggiore, verso vis de’ Cerretani, si trova inserito tra le pietre questo busto di donna, chiamata dai fiorentini con il nome di “Berta”. Secondo la tradizione si tratterebbe di un’ortolana, che regalò alla chiesa una campana, perché ogni sera fosse suonata, mezz’ora prima della chiusura delle porte cittadine. In tal modo gli ortolani avrebbero fatto in tempo a uscire dalla città, per poter far ritorno ai loro campi.La campana del Bargello
Molti fiorentini credono che sia la “Martinella”. In realtà la campana del Bargello si chiama “Montanina”, e fu predata nel Trecento dal castello di Montale, nel pistoiese. Quando il Bargello on era un museo, ma il luogo dove si amministrava la giustizia, per secoli il suo suono ha accompagnato l’ultimo viaggio dei condannati a morte. L’11 agosto del 1944 i suoi rintocchi chiamarono i fiorentini alla rivolta contro l’occupante nazista; poi venne suonata per l’alluvione nel 1966, e pochi anni fa ha suonato per festeggiare il terzo millennio. Condannata all’esilio
La “Piagnona” del monastero di San Marco (oggi conservata nel Museo Nazionale di San Marco) è uno dei bronzi più grandi d’Italia. È una campana quattrocentesca che, legata alle vicende della cattura ed esecuzione di Fra’ Girolamo Savonarola, subì un curioso processo come punizione per aver suonato ad allarme quando i fiorentini si accalcarono al convento per prelevare il frate condannato per eresia. La campana fu staccata, e portata in processione per la città, mentre veniva da fruste di cuoio per castigo. Poi fu condannata a cinquant’anni di esilio, da trascorrersi a San Salvatore al Monte. La pena durò molto meno: nel 1509 era già tornata a suonare dal campanile di San Marco.Il campanile mozzato
La torre campanaria della Badia Fiorentina, in stile gotico, risale al 1330. Quella precedente fu distrutta e tagliata a metà nel 1307, per ordine del Comune. Era la punizione per aver “suonato a martello” le campane, chiamando i cittadini alla rivolta contro le tasse troppo alte che erano state imposte ai monaci. Per la cronaca, il popolo non rispose all’invito: alla fine, i monaci “evasori” dovettero pagare il dovuto.