Il fascino dei Templari nascosto nell’intreccio tra storia e romanzo
La Nazione, 05-06-2005, Giovanni Pallanti
Renzo Manetti ha pubblicato, nel febbraio di quest’anno, un libro «Le Madonne del Parto, icone templari» (edizioni Polistampa) nel quale, come si legge nella quarta di copertina, si dice che le immagini che raffigurano la Madonna in attesa del parto compaiono in Toscana pochi anni dopo la soppressione violenta dell’Ordine del Tempio. Secondo l’ipotesi di questo saggio, esse rappresenterebbero le Confraternite templari disperse, costrette a nascondersi, e la sapienza segreta che queste custodivano. Con un’accurata indagine documentaria l’autore porta indizi convincenti dell’esistenza a Firenze di una di queste Confraternite: nascosta dietro la facciata di un nuovo ordine monastico, avrebbe avuto fra i suoi accoliti anche Boccaccio.

Ma ecco la controindagine storica del Parroco della Chiesa di San Francesco di Paola in Firenze, Don Giovanni Alpigiano
. Nella Chiesa vi è un pezzo d’affresco attribuito a Taddeo Gaddi su cui il Manetti insiste per dimostrare la sua tesi, racontando che lì vi era, preesistente all’attuale chiesa, quella dei frati Girolamini, dietro ai quali si celava una Confraternita templare. Don Alpigiano si domanda se questo monastero templare sia esistito oppure no e se la Madonna del Gaddi sia sempre stata lì dove ora sorge la Chiesa di San Francesco di Paola. Il Manetti risponde di sì ad entrambe le domande; Don Alpigiano, invece, dichiara che «non ci sono prove visibili di monasteri preesistenti». A tutt’oggi non si è trovata alcuna traccia nemmeno con gli scavi effettuati dalla Soprintendenza ai Beni Architettonici durante i lavori di restauro tutt’ora in corso. Per quanto riguarda la pittura di Taddeo Gaddi, Don Alpigiano ribadisce che “la provenienza della Madonna del Parto
dalla Chiesa di San Pier Maggiore, Chiesa di un monastero femminile fondato nel 1067 che fu demolito nel 1784”.

A commento dello studio di Renzo Manetti, Don Alpigiano cita lo storico medievista Malcolm Barber che, nel libro “La storia dei Templari” (Piemme, 2004, p. 383), scrive: «(Essi) sono stati utilizzati da romantici in preda alla nostalgia per un passato medievale ormai perduto, da massoni in cerca di una storia singolare capace di giustificare la loro inclinazione per rituali e comportamenti dal sembiante religioso, e da ciarlatani volti a trarre profitto dalla credulità degli ingenui». Don Alpigiano va giù duro nella sua controstoria. Ma di fronte a una Chiesa spesso avvolta dalle nebbie del relativismo religioso e storico, queste prese di posizione aiutano a capire che una cosa sono i romanzi e un’altra è la Storia della Cristianità.