Il Viareggio tra antifascismo e letteratura
Corriere della Sera, 24-05-2005, Stefano Bucci
Tanto per ribadire che al Viareggio, probabilmente il premio letterario più di sinistra d’Italia, sembrano piacere molto (almeno quest’anno) anche i candidati di destra, è arrivata ieri la prima rosa dei finalisti della 76? edizione. Che, nella sezione opera prima, vede accanto all’Alessandro Piperno di Con le peggiori intenzioni (Mondadori), quel Leonardo Colombati di Perceber (Sironi) definito proprio da destra «il romanzo del decennio, di quello che è trascorso e di quello che verrà». Accanto a lui, quasi per riequilibrare il tutto, c’è poi Mario Desiati, redattore di Nuovi Argomenti nonché autore di Le luci gialle della contraerea (Lietocolle). Completano la cinquina Giorgio Messori con Nella città del pane e dei postini (Diabasis) e Mario Domenichelli con Lugemalè (Polistampa). Prossimi appuntamenti: il 7 giugno con la cinquina dei finalisti delle sezioni narrativa, saggistica, poesia (più la terna della sezione opera prima e il Viareggio-Versilia internazionale); dal 23 al 25 giugno con l’assegnazione del premio. Ma ha senso parlare oggi di un premio di sinistra o di destra? O di un premio antifascista? Enzo Siciliano, nuovo presidente del Viareggio, chiarisce: «Un buon libro per me non è né di destra né di sinistra. E’ un buon libro e basta&
raquo;. Ma la tradizione antifascista del Viareggio? «L’antifascismo fa parte della cultura di questo Paese. Chi vuole darne esclusivamente un’interpretazione politica è soltanto un nostalgico. L’antifascismo del Viareggio non è politico; è, prima di tutto, nella libertà delle scelte». Questa edizione? «Speriamo di poter attirare l’attenzione dei media su un tema difficile come quello della letteratura contemporanea, nella maggior parte delle volte totalmente ignorato dai grandi media». E se lo dice uno come Siciliano che dal 1996 al 1998 è stato anche presidente della Rai, sarà vero. La storia del Viareggio (il maggior numero di vincitori spetta attualmente all’Einaudi) conferma comunque la vocazione politica del premio. Un premio che secondo Leonida Répaci, uno dei fondatori, voleva essere in primo luogo «coerente con la sua premessa antifascista e contro l’insorgere dei fascismi, vecchi e nuovi, che rappresentano il ritorno alla barbarie e alla sopraffazione, all’intolleranza». Seguendo quest’onda il premio internazionale è così andato a personaggi come Pablo Neruda, Aimé Cesaire, Alexandros Panagulis, Ilda Boccassini, Gino Strada. Quando nel 1931 il premio è vinto da Maria Bellonci, siamo ad esempio in piena era fascista
e il regime attraverso il premio vuole conquistare la cosiddetta «intellighenzia». Lando Ferretti, capo dell’ufficio stampa del capo del governo, sarà così presidente del Premio per tre anni e anche lo stesso Galeazzo Ciano si interesserà al Premio (nel 1935 raggiunse con l’idrovolante il lago di Massaciuccoli e venne ricevuto dalla giuria al completo). Ma sarà in particolare nel dopoguerra che il premio (nato nel 1929) rafforzerà i propri legami con la Resistenza e la democrazia nata dalla liberazione. Nel 1947 verranno così premiate «sorprendentemente» le Lettere dal carcere di Antonio Gramsci e il Viareggio lascerà un segno definitivo nella storia della cultura italiana (scrisse all’epoca Répaci: «Il grande rivoluzionario sardo è conosciuto dagli italiani unicamente come il fondatore del Partito comunista. Nessuno sa quale formidabile scrittore egli sia stato»). La voglia di mettere le mani sul Premio Viareggio contagerà in qualche modo anche Palmiro Togliatti. Che, il primo luglio 1947, scriveva al «compagno Pietri, sindaco di Viareggio», che voleva entrare nella giuria: «Ti segnalo che la direzione del partito ritiene, e ti invito a regolarti in questo senso, che il premio debba essere assegnato dall’apposita commissione».