Concilio di Firenze: la pace (fallita) fra Oriente e Occidente
Il Buongiorno, 27-07-2023, Alessandra Abramo
All’alba del 24 febbraio 2022 le forze armate russe davano il via ad un’offensiva sul territorio ucraino. Definita dal presidente russo Vladimir Putin “operazione militare speciale”, si rivelava invece guerra aperta e durissima, che ha superato da poco i cinquecento giorni, con una pace che sembra lontana.
Il processo tanto sperato di riconciliazione passa attraverso ragioni politiche, storiche, ma anche religiose, con il tentativo di raggiungere un avvicinamento tra le due Chiese, ortodossa e cattolica. La frattura tra le due Chiese esiste tuttora; anzi, si è manifestata ancor di più con il protrarsi del conflitto nonostante qualche riavvicinamento in tempi recenti avesse fatto pensare ad un filo che potesse legare l’Occidente con Mosca; basti pensare allo storico incontro tra Papa Francesco e il patriarca Kyryll (capo della Chiesa ortodossa russa, che conta 165 milioni di fedeli sparsi per il mondo) a Cuba nel 2016. È una questione antica e complessa quella che delinea i rapporti tra Europa e Russia, e in più in generale tra Oriente e Occidente, ma più che mai attuale nel dibattito pubblico odierno. Il saggio scritto dallo storico dell’arte Roberto Lunardi Da Firenze e Venezia (edizioni Mauro Pagliai) racconta quanto profonde siano le radici del conflitto in Ucraina e al tempo stesso quanto la Russia sia da sempre parte fondamentale dell’Europa. Lo fa attraverso due importanti documenti: il decreto di unione dei Greci con la Chiesa di Roma del 1439 (il Concilio di Firenze) e il lascito di Bessarione a Venezia. L’analisi di Lunardi si sofferma in particolare su due città, Firenze e Venezia, che per motivi diversi hanno svolto un ruolo chiave nei rapporti tra Oriente e Occidente.
«Nella primavera dello scorso anno stavo studiando i tessuti pregiati utilizzati per l’apparato e per le vesti liturgiche in Santa Maria del Fiore nel 1439; proprio l’anno in cui si concluse il Concilio di Firenze, con il quale fu proclamata la riunificazione dei cristiani della Chiesa cattolica occidentale con quelli della Chiesa ortodossa orientale – racconta Roberto Lunardi – . In quei giorni le forze armate della Federazione russa cominciarono a invadere il territorio ucraino esasperando il conflitto già in atto tra i due governi fino dal 2014 e così accantonai quanto stavo indagando e cominc
iai a cercare di capire le ragioni lontane di quel tragico evento». Il Concilio fiorentino che si svolse nella chiesa di Santa Maria Novella nel luglio del 1439, doveva ratificare la riunificazione della cristianità, impresa tanto più difficile in quel periodo in cui alle lacerazioni antiche se ne erano aggiunte di nuove, sullo sfondo minaccioso e pressante, inoltre, dell’avanzata turca. Il Concilio ospitò a Firenze oltre al Papa Eugenio IV, l’Imperatore Giovanni VIII Paleologo e il Patriarca di Costantinopoli Giuseppe II (che vi morì), un folto pubblico di ecclesiastici di entrambe le parti provenienti da diversi Paesi, e proclamò con la sottoscrizione della bolla Laetentur caeli, letteralmente che i cieli si rallegrino (l’originale è conservato nella Biblioteca Laurenziana a Firenze) l’unione fra la chiesa greca e quella latina che metteva fine alla separazione del 1054, lo Scisma d’Oriente. Con il riconoscimento, dopo difficili trattative, da parte degli orientali del Vescovo di Roma come vicario di Cristo, capo unico della Chiesa, quindi padre e maestro di tutti i cristiani.
Un evento eccezionale che rendeva pubblica la ricomposizione di un conflitto dogmatico, ma anche politico, che aveva diviso le Chiese latina e ortodossa per secoli. Dogmatico perché investiva argomenti vari, tra i quali l’aggiunta nel Credo del filioque (e dal figlio) che riguardava una differenza più letterale che sostanziale nella definizione dello Spirito Santo non prevista per gli ortodossi, il primato del Papa di Roma su tutta la cristianità, e la dottrina del Purgatorio riconosciuta solo dai cattolici (i Greci ammettevano un periodo di espiazione dopo la morte, ma rifuggivano dall’ammettere che si facesse con la pena del fuoco).
Politico perché queste stesse questioni comportavano conseguenze di grande rilievo nella affermazione delle massime cariche ecclesiastiche di entrambe le Chiese, con esiti economici e di potere non indifferenti. In realtà l’accordo continuò a vivere soltanto sulla carta perché i patriarchi bizantini, dopo aver fatto ritorno in patria, ritirarono il loro supporto alla riconciliazione a causa del malcontento della popolazione nei confronti di quel documento, tanto che in molti lo giudicarono un tradimento della fede ortodossa. L’unione raggiunta dal Concilio, comunque
, durò di fatto fino alla presa di Costantinopoli (29 maggio 1453), e fu poi ufficialmente dichiarata rotta da un Concilio della chiesa greca a Costantinopoli nel 1472. L’importanza di questo avvenimento andò ben oltre la dimensione politica ed ecclesiastica, dal momento che la presenza di illustri intellettuali bizantini (fra i quali ricordiamo Bassilio Bessarione e Isidoro metropolita di Kiev) con la messe di codici di autori greci che recarono con sé, avviò quel processo di riscoperta della cultura e della lingua elleniche che portò Firenze ad essere il centro di un nuovo impulso agli studi umanistici che condurrà poi al Rinascimento. L’evento fu ricco di aneddoti di costume e incontri tra le due culture, tra le differenze teologiche da colmare alle polemiche sul Filioque o sull’uso del pane azimo, si passò dal sacro al profano attribuendo la traduzione in “arista” dell’esclamazione di Basilio Bessarione in merito al lombo di maiale arrosto: Aristos! (il migliore, in greco).
Come Firenze anche Venezia, come spiega Lunardi, svolse un ruolo chiave grazie al lascito del Cardinale Bessarione, il quale, tra i principali promotori del Concilio di Firenze fu raccoglitore di codici greci da sempre ricercati, tanto da costituirne una ricchissima collezione acquistandone nei paesi occidentali dove era stato in missione apostolica per la Santa Sede, e poi nelle terre orientali, allo scopo di sottrarli alla dispersione e, peggio ancora, alla distruzione ad opera degli Ottomani. Come spiega Lunardi nel saggio: «Voleva a tutti i costi salvare la tradizione greca, soprattutto dopo la caduta di Costantinopoli, e aveva considerato che Venezia ne potesse essere il giusto collocamento, visto che poteva essere raggiunta via mare. Dall’inventario dell’epoca ricaviamo che aveva recuperato 482 manoscritti greci e 264 latini. La Biblioteca nazionale Marciana ne è l’erede e così Venezia va considerata centro ineguagliabile per lo studio dei classici greci».
Venezia, negli intenti del Bessarione, avrebbe dovuto costituire il baluardo contro i Turchi, un porto sicuro per quel mondo bizantino del quale si sentiva erede, mentre auspicava che divenisse anche luogo di incontro e di dialogo tra le culture, un sogno che ha quindi origini lontane come lontane sembrano le possibilità di poterlo realizzare.