L’infanzia rubata. La guerra negli occhi sulle strade del mondo: gli scatti di Bertelli a Pontassieve
Toscana Oggi, 19-06-2022, Antonio Natali
Dal 2015 l’Amministrazione comunale di Pontassieve allestisce esposizioni d’arte nella Sala delle Colonne del municipio. Fino a oggi le mostre sono state quindici, tutte corredate di cataloghi finalmente maneggevoli, la cui omogeneità – grafica e di formato – è parsa da subito necessaria a dar l’idea dell’aspirazione a una programmazione coerente, lontana dal tenore episodico che per solito informa le rassegne d’arte ordinate dai governi locali. L’idea sottesa al progetto è quella di non privilegiare alcuna tendenza, puntando sempre sulla tenuta morale e sulla qualità poetica di quanto venga esibito e alternando voci d’artisti celebrati a quelle di giovani meritevoli d’essere conosciuti. Né c’è stata finora una tecnica che abbia goduto d’un occhio speciale; fotografia compresa. E giustappunto alle opere d’un fotografo è votata l’esposizione attuale. Pino Bertelli è il terzo fotografo che presenta i suoi lavori nella Sala delle Colonne. Prima di lui ci sono stati Andrea Alfieri con epifanie liriche di paesaggi e popoli geograficamente lontani (2015) e Aurelio Amendola con le sue magistrali letture di marmi di Michelangelo (2016). Pino Bertelli, che
è di «Reporters sans frontières», si dichiara fotografo di strada; ma le strade che lui ha percorso sono quelle di mezzo mondo, della metà che soffre; pervasa di fame, povertà e morti precoci; infantili per lo più. Fame, povertà e morte, quasi sempre conseguenti a guerre, per solito fratricide. Le immagini esposte a Pontassieve sono desunte da reportage di Bertelli in terre differenti, fra loro lontane, sovente dell’Africa; sicché sarà agevole comprendere che riguardano conflitti diversi. È importante che questa scelta sia sottolineata, ora ch’è in atto una guerra così a noi vicina da udirne gli echi degli scoppi, giacché la denuncia che la mostra di Pontassieve muove non deve sembrare legata a sensazioni connesse alla prossimità geografica dell’Ucraina. Quasi che s’avvertisse l’urgenza d’una condanna proprio perché le bombe esplodono vicino a noi (anche se magari per molti è così davvero, altrimenti non si spiegherebbero il silenzio e il disinteresse nei confronti delle sofferenze e delle stragi in tanti altri luoghi del mondo perpetrate). Non si potrà sottacere che ora – mentre in Ucraina madri disperate scappano coi bimbi tenuti in collo alla meglio
, mentre gente spogliata di tutto piange davanti alle macerie di case crollate sotto le bombe e davanti ai cadaveri sparsi sulla via o ammucchiati nelle fosse comuni – ora, proprio ora, fonti attendibili danno attualmente per certe più di sessanta guerre nei diversi continenti. È facile indovinare che anche in quei luoghi si rinnovino ogni giorno le medesime tragedie cui assistiamo al confine con la Russia. Non c’è ragione per un trattamento tanto squilibrato e ingiusto. Ecco perché s’è scelto d’offrire a chiunque rigetti la guerra fotografie che non distinguano fra terra e terra, fra persone e persone, fra bimbi e bimbi. Era l’inizio di febbraio quando il mondo ha sospeso il respiro, mentre in Marocco una folla s’affannava per salvare la vita a un bambino caduto in un cunicolo profondo. E quel mondo s’è commosso quando il corpicino è risalito morto in superficie. Mi viene naturale pensare al Dio in cui credo, un Dio ch’è padre e che osserva i suoi figli. Non riesco ovviamente a figurarmene il giudizio; ma idealmente posso, come Lui, guardare dall’alto queste scene contemporaneamente alle stragi di bimbi per la guerra. Oltre che atroce, è tutto troppo stupido.