Dalle emergenze nasce l’Italia sicura
Corriere del Mezzogiorno, 26-10-2020, ––
Racconto del viaggio storico-scientifico di Erasmo D’Angelis e Mauro Grassi. «Per il Sud le priorità sono gli interventi sugli edifici a rischio sismico e idrogeologico»

Clima, alluvioni, frane, terremoti, eruzioni, maremoti, uragani, incendi, siccità, epidemie hanno segnato la storia della penisola, dal collasso dell’Etna 8000 anni fa ad oggi. Ma le emergenze si possono affrontare per rendere l’Italia sicura. Basta avere idee chiare, capacità progettuale e amministrativa e del resto a disposizione ci sono già 11 miliardi per le 10129 opere antidissesto sparse per lo Stivale e altri 209 miliardi potrebbero arrivare dalla Ue. Questo è il racconto del viaggio storico-scientifico che si legge nel libro della Polistampa, «Storia d’Italia e delle catastrofi», scritto da Erasmo D’Angelis e Mauro Grassi, il primo oggi è segretario generale dell’Autorità di distretto dell’Appenino centrale, il secondo, economista e analista di valutazioni costi-benefici: insieme guidarono l’unità di missione Italiasicura durante il governo Renzi, osservatorio prezioso smantellato successivamente, e grazie a cui è stato possibile ricostruire questa storia, fondamentale per conoscere il territorio e utilizzare al meglio il Recovery fund. Ma attenzione: i progetti con i bandi devono partire entro il 31 luglio 2022 e le opere devono essere completate entro il 31 luglio 2026, pena la perdita dei finanziamenti, dunque 6 anni cruciali per realizzare opere indis
pensabili, districandosi tra 10 mila uffici con titolarità (dalle Regioni, al Genio civile, ecc) e 1500 leggi ad hoc.
Ma come si deve agire per ottenere il miglior rapporto costi e benefici? D’Angelis: «Per il Sud le priorità sono gli interventi sugli edifici a rischio sismico e idrogeologico ». Secondo Grassi si può intervenire anche sulle infrastrutture più complesse come la ferrovia dell’Alta velocità o dell’Alta capacità: «Certo in 6 anni non si può completare un’opera complessa, ma si possono realizzare i tratti più utili per i territori». Gli interventi sugli edifici sono i più «semplici» e anche i più urgenti: in Italia se ne contano circa 13 milioni, di cui 5 milioni a rischio idrogeologo o sismico: si tratta di case, ospedali, caserme, scuole utilizzati da 23 milioni di persone. Il 40% di questi edifici sono in zona sismica, percentuale che sale al 45% nel Sud. Dal terremoto dell’Aquila del 2009 ad oggi, per i sismi sono stati spesi 53,4 miliardi, di cui l’85% (45,39 miliardi) per ricostruire edifici. Se si mettessero a norma i 5 milioni di edifici a rischio si spenderebbero 36,8 miliardi, creando 570 mila posti di lavoro; un investimento significativo se per tutte le catastrofi dal 1946 ad oggi sono stati spesi 592 miliardi, 8 ogni anno. Sono tanti e diversi gli eventi drammatici che colpiscono l’Italia, un territorio di cui solo il 25% è composto da pianure, solcato da 7mila corsi d’acqua, con 7458kmdi coste, da cui 40
milioni di mq di spiagge sono state «mangiate» negli ultimi 50 anni, con picchi negativi in Sicilia e Calabria. In questa realtà complessa i comuni a rischio frane rappresentano il 91,1% del totale, con le maggiori criticità in Campania, Basilicata, Calabria, Sicilia, e ciò nonostante (anche in assenza di una legge sul consumo del suolo) si continua con la cementificazione selvaggia: il 17% in aree a rischio idrogeologico, il 4% in aree a rischio frane, l’11% in aree a rischio sismico. Ma non si riesce a gestire bene nemmeno l’acqua che scorre a terra: fortissimo il rischio desertificazione (su cui ha da 20 anni lancia grida d’allarme Pietro Laureano) che rappresenta il 70% per la Sicilia, il 57% per la Puglia, il 55% per la Basilicata, tra il 30% e il 50% per la Campania, regioni in cui (compresa la Calabria) le perdite d’acqua superano il 30%, con 7,6 miliardi di costi. In sostanza per ottenere 1 litro di acqua potabile nella rete se ne devono immettere. E non va molto meglio con il sistema fognario se 3 italiani su 10nonsono allacciati, soprattutto in Calabria, Campania e Sicilia, infrangendo così le leggi europee, con penali da 500 milioni annui (al 70% per colpa del Sud, che pure tra il 2011 e il 2012 per fogne e depuratori ricevette dal Cipe 2,416 miliardi a fondo perduto).
Ultima notazione: solo Emilia Romagna, Toscana, Lombardia e Puglia, dal 2014, hanno inserito nel proprio bilancio la voce «contrasto al dissesto idrogeologico».