Silvestro Lega, il romagnolo made in Toscana
Oggi, 13-08-2003, Vittorio Sgarbi
Catiglioncello ospita per tutta l’estate le opere del «macchiaiolo» di Forlì, che studiò e lavorò a Firenze e dintorni
Silvestro Lega (1826-1895) è stato forse, dopo Giovanni Fattori, la personalità più spiccata del nucleo storico dei Macchiaioli, anche se condizionata da un carattere portato alla discrezione, all’isolamento, alla distinzione delle proprie inclinazioni rispetto a quelle del gruppo. Al Castello Pasquini di Castiglioncello (frazione di Rosignano Marittimo, in provincia di Livorno) gli viene ora dedicata, fino al 19 ottobre, una rassegna (Silvestro Lega, da Bellariva al Gabbro, catalogo Pagliai Polistampa), sulla produzione successiva al 1870.
Lega è stato un artista che, come pochi altri, ha individuato nella Toscana e nella sua tradizione il punto di partenza per un rinnovamento della pittura ottocentesca, capace di confrontarsi con le più evolute ricerche europee, senza allontanarsi dal passato nazionale, motivo d’identità culturale di centrale importanza negli anni del Risorgimento. Eppure Lega non era toscano, era nato a Modigliana, a pochi chilometri da Forlì, cittadina per la quale realizzò le prime opere importanti. La sua «toscanità»
l’ha conquistata prima trasferendosi a Firenze per studiare all’Accademia (1843) dove fu allievo del Bezzuoli, poi apprendendo la lezione purista di Mussini, Sturler, Ciseri. Alla Toscana, Lega sarebbe rimasto legato per sempre, scandendo la propria carriera attraverso le diverse località regionali in cui è stato attivo. La vicenda artistica di Lega si svolge con la frequentazione del gruppo di giovani artisti che, a partire dal 1856, si riunisce attorno al Caffè Michelangelo (Fattori, Signorini, Banti, Abbati, Borrani, Capabianca, Cecioni, DeTivoli, Altamura, Sernesi, sempre sotto la guida del critico Diego Martelli). Lega sostiene il rinnovamento della pittura italiana con riferimento alla nuova pittura francese, ma con la dovuta cautela: vuole incrementare le capacità espressive col colore, confrontarsi con il nuovo senso della luce e della natura che viene determinato dal plein air, ma non vuole rinunciare al disegno realistico, nè a un controllo della forma e della composizione che non nasconde l’eredità del Purismo. Dopo il momento di massimo impegno risorgimentale (primi anni Sessanta), Lega preferisce cambiare e sperimentare completamente il plein air insieme
con i colleghi Signorini, Abbati, Borani e Sernesi: è il momento della cosiddetta Scuola di Piagentina, durante il quale Lega mostra la sua predilezione per i soggetti d’intimismo domestico, soprattutto nelle figure femminili. Le opere più note di Lega, dolci e solari, sono realizzate in questi anni: Il canto dello stornello (1867), il pergolato (1868), La visita (1868). Nel 1870 la magia degli anni di Piagentina si interrompe per una serie di gravi lutti che colpiscono Lega, che si rifugia provvisoriamente nella nativa Romagna; dal 1872 iniziano anche i problemi agli occhi che lo tormenteranno negli anni seguenti, portandolo quasi alla cecità. Fino al 1878, in preda a una crisi fisica e spirituale, l’artista rinuncia quasi completamente all’arte; poi, grazie anche agli stimoli provenienti da una vecchia allieva, Isolina Cecchini, si decide a tornare in Toscana e a riprendere il suo lavoro interrotto. A Bellariva, ospite del pittore Tommasi, Lega riprende a dipingere i suoi amati soggetti familiari, ma in maniera meno realistica. Alla fine, nel periodo sulle colline di Gabbro, ospite della famiglia Bandini, riesce a recuperare la serenità dei giorni migliori.