Tre donne,tre storie diverse ma con in comune la difficoltà di lasciarsi il passato alle spalle
Toscana Oggi, 06-09-2020, Antonio Lovascio
«Viaggiare» con Giovanni Morandi non è mai noioso. Soprattutto quando ti propone un romanzo ambientato sull’asse Russia-Polonia nel quale richiama costantemente uno dei luoghi più selvaggi e misteriosi del mondo, con una narrazione emozionante ed evocativa, da film. Già il titolo (Non è facile coltivare pomodori in Siberia - Pagliai Editore, p. 144, euro 10) prefigura i tratti originari di questa terra sfuggente, infinita, che negli occhi dei primi viaggiatori con il suo vuoto apparente era una lavagna pulita su cui scrivere. Per secoli sollevò leggende, evocò ideali, suscitò soprattutto paure, perché sistematicamente indicata come prigione per condannati: Dostoevskij e Solzenicyn ci hanno lasciato pagine memorabili sul loro carcere interminabile e duro nei Gulag, forse mutati ma non del tutto scomparsi nell’era Putin. Persino il suo nome - una fusione mistica tra il mongolo «siber» (bello, puro) e il tartaro «sibir» (terra addormentata) - suggeriva l’immagine di un altrove immacolato e in attesa. Hegel la collocò addirittura fuori dai confini della storia: troppo fredda e ostile per ospitare una vita significativa. Giovanni Morandi - gi
ornalista e scrittore, editorialista del «Quotidiano  Nazionale» dopo aver diretto «Il Giorno», «Il Resto del Carlino» e lo stesso QN - questa esistenza palpabile l’ha invece colta e incarnata nelle storie diverse di tre donne anche perché ha potuto muoversi all’interno di quella realtà in momenti più recenti di grandi sommovimenti. Partendo dalla sua lunga esperienza all’ombra del Cremlino presidiato dall’Armata Rossa e nei Paesi «satelliti» dell’Est: corrispondente da Mosca negli ultimi anni dell’Urss, ha assistito, unico giornalista straniero, al folgorante ammainabandiera avvenuto il 25 dicembre 1991 al Cremlino. E su questi sconvolgimenti più volte ha intervistato Gorbaciov e altri protagonisti di quel lento, faticoso trapasso. Ricostruite queste tappe in saggi, libri e in una sorta di «Diario pubblico» della sua avventura di inviato, ora Morandi cambia formula senza mai rinunciare all’affresco storico. Con un’opera incentrata sulle vicende di un trio ben assortito, che l’autore dice essere frutto di fantasia: nonna, madre autoritaria e figlia che diventano emblemi di tre diverse generazioni. Ekaterina, nata in una f
amiglia aristocratica polacca, sarà  deportata in un gulag negli anni della rivoluzione. La figlia Marija, che a quella rivoluzione è fedele fino a entrare nella cosiddetta nomenclatura sovietica, vede le proprie speranze svanire, tradite dalla fine del comunismo. Vera, come tante giovani dei nostri tempi, parte e coraggiosamente scommette sul suo futuro in Italia. Tra mille difficoltà e peripezie, cerca di lasciare alle spalle le brutte esperienze. E, quando sopravviene un po’ di comprensibile nostalgia, le basta avvolgersi in una pelle di lupo per tornare nella sua casa ai margini della foresta di betulle, in quella Siberia che per lei è sempre familiare anche se la rivede solo attraverso video o fotografie. Proprio Vera ci accompagna nei meandri di ricordi che si intrecciano; è lei a svelarci, in fondo, il succo del romanzo: «Mi chiedo se sono cambiata e se sono diventata diversa da quella persona che ero prima di lasciare la Russia. Non lo so, ma se fossi rimasta là probabilmente sarei diversa. Non è soltanto il tempo che ti cambia ma i luoghi e i fatti della vita. E se fuggi via non ti liberi dei legami perché fuggono con te».