Riflessioni di un giornalista durante la pandemia
Toscana Oggi, 28-06-2020, Antonio Lovascio
All’inizio della pandemia avevamo previsto che, non appena se ne fosse presentata l’occasione, saremmo stati sommersi da confessioni coronavirali. Siamo stati fin troppo facili profeti, ma per nulla scontato e consigliabile a chi sa apprezzare i veri professionisti della scrittura è il diario appena pubblicato da Enrico Nistri, L’anno del pipistrello (editore Mauro Pagliai, pp. 160, euro 10). Anticipando il profilo dell’autore, forse aiutiamo il lettore a inquadrare subito lo spessore, lo spirito e i contenuti del libro, la narrazione – in un confronto continuo con la Storia – di una minaccia terribile e misteriosa anche per i virologi, che ha spaventato popoli e governanti impreparati. Paragonabile, più che a una guerra, a due grandi «crisi epocali»: lo choc energetico del 1973, e quello terroristico dell’11 settembre 2001. Nistri, editorialista del «Corriere Fiorentino», presidente della giuria del «Premio Letterario Firenze», collabora da anni a riviste e trasmissioni televisive dopo aver condotto con Romano Battaglia gli eventi culturali del Caffè della Versiliana. È apprezzato anche come storico. Proprio la sua passione per la storia lo ha convinto, da quasi 40 anni, a tenere una sorta di taccuino giornaliero, dal
quale spesso ha attinto spunti per le sue opere. Un motivo in più per farlo durante la «quarantena», vissuta «in clausura» nel capoluogo toscano nonostante il richiamo di Viareggio, dove ama trascorrere molti weekend e lunghe estati. Di tempo Enrico ne ha avuto per descrivere, con punte di commozione alternate a volte da sottile ironia, una Firenze tetra riflessa nella sua monumentale Bellezza, le sue strade abbandonate prima dai turisti e poi dai cittadini costretti al confino domestico. Per riflettere, incollato per ore davanti alla televisione, sulle cronache quotidiane dall’Italia e dal mondo, sui bollettini ospedalieri, sulle «zone rosse» e la lunga interminabile catena di morti. Seppur con qualche correzione sulla prima stesura, che comunque non altera l’essenza dei fatti, è una scrupolosa ricostruzione di quegli orribili tre mesi che vanno dal 31 gennaio, quando nel nostro Paese non sono ancora emersi casi di infezione, e il 27 aprile, in prossimità della fine del lockdown imposto per rallentare il contagio. Che lezione e conclusioni dobbiamo trarre da questo trauma collettivo, sperando di non essere messi un’altra volta in ginocchio da un’ondata di ritorno? Enrico Nistri dubita che i fondamenti della nostra società
cambieranno. «La globalizzazione, causa indiretta del disastro, andrà avanti, anzi paradossalmente conoscerà un’accelerazione. Continueremo a delocalizzare le produzioni, a costo di accrescere il numero dei nostri disoccupati. I movimenti sovranisti, che in teoria dovrebbero trarre consensi dalla situazione, rimarranno sulla difensiva, stretti fra l’accusa, strumentale ma efficace, di sabotare l’operato del governo e l’imbarazzo per il malfunzionamento della sanità in Lombardia. L’Unione Europea , sempre meno unita e, viste le crescenti ondate migratorie, sempre meno europea, confermerà la propria fragilità, fra un’America sempre meno incline a poggiare sopra le proprie spalle il fardello dell’Occidente, un’Africa destabilizzata e con i suoi flussi migratori destabilizzanti, e la Russia di Putin. E poi c’è la Cina, da cui tutto è partito e cui tutto tornerà. La Cina che, forte dei suoi capitali e delle nostre debolezze, potrebbe comprarsi a prezzi di saldo le nostre aziende. Pechino ha le sue colpe, ma non dimentichiamo quelle di Washington, di Londra, di Berlino, di Parigi, di Roma. Insomma, di noi. Mi spiace ammetterlo – conclude – ma da almeno mezzo secolo l’Occidente si sta tramontando da solo».