“Quando l’abito faceva il monaco”: in libreria da ottobre un’eccezionale sfilata alla scoperta del mondo monastico
aise, 03-10-2006, ––
FIRENZE\ aise\ - Uscirà a ottobre un originale volume di Lara Mercanti e Giovanni Straffi dal titolo "Quando l’abito faceva il monaco" (Polistampa, pp.240, euro 18), tutto volto alla scoperta del mondo monastico sotto una luce completamente nuova e per molti aspetti curiosa. Il libro, frutto di meticolosa ricerca durata anni, raccoglie le immagini e le schede di 62 "figurini" di monaci, realizzati nella prima metà del Settecento e adesso conservati nel Museo Diocesano di Santo Stefano al Ponte di Firenze: dall’Augustinianus Discalceatus al Barnabita Ambrosianus, al Canonicus Mantuanus S.ti Marci fino al Sacerdos Oratori S.ti Philippi Nerii e al Trinitarius. Per consistenza e tema la collezione è una vera rarità. Oltre all’abito religioso in generale e all’evoluzione del suo significato storico e sociale, sono trattate le origini
dello specifico gruppo di figurini, descrivendo per ognuno di essi l’ordine religioso, le vesti, gli accessori e mettendo in luce quanto la moda abbia sempre interessato il mondo religioso, per la sua capacità di esprimere concetti simbolici. L’antichissimo detto "l’abito non fa il monaco" è qui ribaltato in quanto i vari Istituti attribuivano alla veste dei monaci l’importante compito di specificare chi si era e quale ruolo si ricopriva. In alcuni periodi l’abito assunse un valore che superava la funzione pratica: alcuni ordini lo imponevano anche di notte, altri non permettevano di toglierlo nemmeno durante gravi malattie. Scrive nel 1705 Clemente Pistelli a proposito del fondatore dei chierici regolari minori: "non mirò giamai (oltre le mani) parte alcuna del suo corpo ignuda; che perciò dormiva sempre vestito, e bisognand
ogli talvolta rappezzar le calzette, non le levava dalle gambe, per non lasciarle scoperte, ma sopra di esse le raggiustava al meglio.". Il volume, con presentazione di Don Sergio Pacciani e prefazione di Giancarlo Grazzini, ci propone la storia della Compagnia di Sant’Omobono, detta "dei Sarti", dove i disegni acquerellati dei figurini sono stati rinvenuti e dove è giustificata la loro funzione. La volontà era certamente quella legata al desiderio di documentare visivamente le innumerevoli istituzioni religiose, ancora esistenti ma anche estinte o soppresse. Gli autori, però, ipotizzano che i ritratti conservati nel complesso monastico della Badia Fiorentina potessero avere anche il secondo fine di costituire una sorta di "prontuario" per le esigenze di un laboratorio-sartoria incaricato di realizzare gli abiti di vari ordini religiosi. (aise)