Il mio Croce. Scritti 1969-2018
Nuova Antologia, 01-07-2019, Giuseppe Brescia
Cinquant’anni di vita intellettuale e civile, autentico ‘punto di svolta’ nella storia contemporanea, dagli anni della contestazione giovanile a quelli del terrorismo e fondamentalismo, dalla data dello sbarco sulla Luna alla riscoperta del cielo stellato e della legge morale dentro di noi, e dai tentativi di «rimozione di Croce» (come li definì Michele Maggi) alla reinterpretazione assidua dei suoi «prosecutori» ed «eredi non inerti», tra i quali si colloca a pieno titolo l’amico Fulvio Janovitz. Nel 1958 si pubblicava in Napoli un Omaggio a Vico, a cura di P. Piovani, che era in effetti un “Antiomaggio a Croce”: il principio «verum et factum convertuntur seu reciprocantur » veniva fatto risalire a fonti tomistiche, omettendo di rilevare il significato innovativo per la modernità di quell’assioma, dove «factum» vuol dire «ciò che si fa», non il «fatto», e il rapporto tra i due termini è dinamico e storico, non identitario né rigido. Alfredo Parente, direttore della «Rivista di studi crociani», e con lui Fulvio Janovitz non mancarono di sottolineare l’incongruenza ermeneutica; dando impulso a una serie di note e saggi di restituzione della verità, saggi che Janovitz integrava via via con puntuali ricerche sul tema “Machiavelli e Croce”, seguendo tutte le tappe dei riferimenti di Croce a Machiavelli, cronologicamente ordinati.
Inoltre, Janovitz seguiva tutti gli studi su Croce nelle sterminate loro diramazioni, presso Raffaello Franchini e Francesco Erasmo Sciuto, Massimo Leotta e Giuseppe Galasso, Vittorio Stella e Gennaro Sasso, fino ai miei stessi studi, che la prudenza mi vieterebbe di citare se non fosse per una forma di debito storiografico: dal periodo filologico del Croce inedito alle prime interpretazioni di Non fu sì forte il padre e delle «questioni dello sto
ricismo», di Tempo e libertà e La fucina del mondo (da De Sanctis a Pietro Addante, autore di una attenta biografia filosofica fino al 1994), di Croce nel mondo e delle antologie di Carlo Ludovico Ragghianti, L’arte e la critica e Rosario Assunto, fino ai convegni fiorentini in onore del Croce promossi in collaborazione con il Rotary Club di Firenze Nord e la Fondazione Spadolini Nuova Antologia. A 80 anni dalla pubblicazione di Finnegans Wake (4 maggio 1939) di James Joyce il gran tema dei Corsi e ricorsi storici è anche presente nella interpretazione di Janovitz, crocianamente intendendo la circolarità della storia in senso ideale eterno non già di meccanica riproduzione e ripetizione di dati. «Not the same – dice Joyce in Ulysses – The new I want». Base comune della nostra prosecuzione ermeneutica era la «dialettica delle passioni», teorizzata da Alfredo Parente come la terza fase dell’estetica crociana, e innalzata a modo categoriale, urgenza del passaggio verso le forme e tra le forme spirituali, in luogo della freudiana “libido”, dell’“archetipo junghiano” o delle altre forme di “vitalismo” che campeggiano nella filosofia tra fine Ottocento e primo Novecento (Bergson, Ortega y Gasset, Dilthey, Simmel).
Ciò che diversifica la dialettica delle passioni è la sua connotazione “temporale”, il “dinamismo del momento culminante” (come la pietà e il terrore nella catarsi della tragedia classica secondo Aristotele). Mediazione di Dialettica e prospettiva che, infine, era in grado di ricomporre le differenze e le polemiche tra Parente e Franchini a proposito delle “Origini della dialettica”, per il primo assestate sul puro momento della “opposizione”, mentre per l’altro dei due “Dioscuri” del crocianesimo napoletano restava attiva la “sintesi”, come terzo m
omento di operazione logica. Tale polemica fu anche ripresa da Eugenio Montale sulle colonne del «Corriere della Sera» del 1970, poi nel secondo volume de Il secondo mestiere; e all’inizio ci lasciò sgomenti ma ci abituò anche a vedere le cose in un’ottica sempre larga e comprensiva (Tempo e Relazione, il vitale e la storia, liberismo e liberalismo, previsione franchiniana e utopia concreta di Giovanni Bovio, longanimità e magnanimità, come scrive Heidegger in Dall’esperienza del pensare).
In fondo, è lo stesso Eugenio Montale nei suoi Scritti sul Mondo nei quaderni della Nuova Antologia, a riassumere il valore del nuovo crocianesimo: «Studiare Croce oggi vuol dire mantenere salda la tradizione umanistica; non sacrificare ad alcun Moloch totalitario (la violenza, la forza, le cosiddette esigenze dell’uomo economico); religiosamente credere nella Libertà, come in quel Dio che Croce, come tutti i veri credenti, non volle mai nominare invano». Si tocca così un punto assai vivo nel pensiero di Janovitz, e nel mio concorde scavo teoretico: il Perché non possiamo non dirci cristiani, il Croce e il cristianesimo e il suo complemento dettato per l’Acton Institute Sturzo e Croce: temi ripresi nel saggio di Fulvio, Quando Croce dialogava con Dio, a proposito del Carteggio con Maria Curtopassi, introdotto dal laico Giovannino Russo, ben al disopra di incomprensioni unilaterali o personali idiosincrasie. Del resto, anche Federico Chabod, nella sua Storia dell’idea d’Europa accreditava sugli scudi la interpretazione crociana della “rivoluzione cristiana”. E il poeta Thomas Stearns Eliot dirà: «Se se ne va il cristianesimo, si perde tutta la cultura ». In questi sensi, va letto il messaggio ricompositivo tra religioni anche apparentemente distanti espresso coerentemente da Fulvio Janovitz.