Luigi Pirandello. Una biografia politica
Storia in Rete, 01-04-2018, Guglielmo Salotti
Nella tutt’altro che composita querelle sui rapporti tra Fascismo e cultura, la figura e il ruolo di Luigi Pirandello meritano un’attenzione particolare. Si tratta,dopo tutto, del massimo drammaturgo italiano del tempo, insignito nel 1934 del Premio Nobel per la letteratura, che sin dal settembre 1924 (quando ancora non erano sopiti gli effetti del delitto di Matteotti) aveva chiesto a Mussolini l’iscrizione al PNF e, alcuni mesi più tardi, nell’aprile 1925, aveva firmato «Manifesto degli intellettuali fascisti». Due particolari che se da un lato appaiono inequivocabili, non possono dall’altro esaurire da soli la questione del rapporto di Pirandello con il Fascismo. Sarebbe in realtà servita una biografia politica, proprio quella prospettata sin dal sottotitolo del saggio di Ada Ficher
a, giornalista presso lo Stato Maggiore della Difesa; un’attesa andata in parte delusa, se l’impianto del volume è sì imperniato su una corretta ricostruzione biografica, ma lascia indubbiamente poco spazio a considerazioni di natura più propriamente politica. D’altronde, è pur vero che Pirandello stesso non avrebbe mai fatto mistero della propria estraneità «mentale» alla politica, spiegando l’adesione al Fascismo come un aiuto alla«sua opera di rinnovazione e di ricostruzione»; così come la sua propensione per la figura di un «monarca illuminato», oltre ad attagliarsi all’immagine del Duce, confermava la sua sfiducia nella socialdemocrazia e nel liberalismo. «Quando il potere è in mano di uno solo- farà dire Pirandello a Mattia Pascal- quest’uno sa di essere uno e di dov
er contentare molti; ma quando i molti governano, pensano solo a contentare se stessi e si ha, allora, la tirannide più balorda e più odiosa: la tirannia mascherata da libertà». Se l’ammirazione di Pirandello per Mussolini fu sincera, e senza dubbio ricambiata (anche se il Duce gli rimprovererà, parlando con l’attrice Marta Abba, un «brutto carattere), maggiori difficoltà avrebbe incontrato il suo progetto per la creazione di un Teatro di Stato, che pure aveva goduto dell’appoggio di Mussolini e di Bottai. Frenato (e poi di fatto affossato), quel progetto, da pressanti problemi economici e di politica internazionale, ma soprattutto dalla scelta fatta dal Regime a favore del cinema, alla fin fine ritenuto un’arma propagandistica di più diretta presa sulle masse rispetto al teatro.