La casa-bottega dei Bueno
Corriere fiorentino, 20-05-2016, Giulio Braccini
La prima volta che andai a “Casa Bueno” le oche da guardia mi si avventarono contro e i miei anfitrioni dovettero darsi un bel po’ da fare per metterle “a cuccia”. Ma che posto è quello in cui, invece dei soliti cani, ad “abbaiare” contro gli estranei ci sono delle oche? Una casa piena di artisti, chiaro. E di opere d’arte, quadri, sculture, arazzi, oggetti belli d’ogni sorta e che sbucano da ogni angolo, sono appoggiati per terra, sui tavoli, sulle mensole del caminetto, trattati con la confidenza di chi ci è cresciuto in mezzo, mentre chi ci arriva per la prima volta si sente quasi ad un esame di “attribuzione”: di chi sarà quella scultura sotto il portico? Di chi quella tela che sbuca dietro il pianoforte? E questo catalogo, di chi raccoglie le opere?
Un
tempo le colline intorno a Firenze pullulavano di case di artisti. Il nostro secolo è forse più avaro in merito, ma i poggi dentro e intorno alla nostra città ne sono ancora punteggiati. Come a Villa Bardini, dove oggi si inaugura e domani apre al pubblico Doppio Ritratto, la prima mostra che mette a confronto, quadro dopo quadro, l’intero percorso artistico di Xavier e Antonio Bueno. Come a Le Molina e a Il Poggio (sopra le Caldine) dove i due fratelli si erano insediati lasciando un’eredità propriamente artistica (molte delle opere esposte vengono da lì) ed una d’affetti che non può fare a meno di “parlare” la lingua d’arte.
Xavier e Antonio erano rimasti “bloccati” a Firenze nel 1940. Cresciuti a Ginevra da padre spagnolo e madre ebrea polacca, pensa
rono bene di venire proprio allora a fare il loro “grand tour” nell’Italia fascista. Si nascosero in piena luce: trovarono uno studia in via degli artisti (quando toponomastica e realtà ancora coincidevano) dove sbarcarono il lunario disegnando vignette per i giornali del regime che li cercava. Antonio trovò anche moglie, un’anglo-fiorentina di quell’ambiente di “scorpione” poi raccontato dallo Zeffirelli di Un tè con Mussolini. E mentre i due artisti godevano di una prima notorietà internazionale con il gruppo dei “pittori moderni della realtà”, nascevano i loro figli. Nonni ispanofoni, genitori francofoni (e che parleranno sempre italiano con accento d’oltralpe) e bimbi finalmente italiani; ma una lingua madre comune a tutti, quella dell’arte.