Se tutti parlano inglese senza... saperlo
La Nazione, 29-05-2016, Guglielmo Vezzosi
Si può vivere senza sapere l’inglese? Sicuramente sì, ma la lingua d’oltremanica risulta sempre più indispensabile. Nel lavoro e nel divertimento, a scuola e persino al ristorante o per acquistare qualcosa su Internet. E molto spesso, non solo durante i soggiorni all’estero, ci troviamo costretti ad arrangiarci, contando solo sulle poche parole che abbiamo sentito in televisione (mal pronunciate per giunta) o sull’innata, ma fragorosa gestualità tutta italiana. Col rischio di comunicare fischi per fiaschi o, peggio, suscitare ilarità o generare situazioni imbarazzanti.
Un repertorio di cose da sapere o da non fare, da evitare come la peste o alle quali prestare la massima attenzione è offerto da un godibilissimo libro «Parlare inglese senza sa
perlo» (ed. Sarnus) scritto da Alessandro Gualtieri, affermato imprenditore milanese con un passato di ottimo formatore linguistico. Si definisce self-taught English speaker, vale a dire che “ha imparato l’inglese da solo” (lo parla e scrive correttamente) e questo gli ha permesso di imparare vizi e virtù dell’approccio con questa lingua.
E così, senza pignoleria didattica, ma con spirito brillante e in uno stile umoristico, snocciola tutta una serie di consigli utili per chi vuol dedicarsi senza annoiarsi all’inglese. Regola n.1: diffidare (o comunque usare con moderazione) dei traduttori automatici per evitare scritte come quella comparsa tempo fa a Roma dove «parcheggio per sole moto» era stato reso in «Parking for sun motion» ovvero &laq
uo;parcheggiare per movimenti solari»...
E attenzione ai «falsi amici» ovvero parole che, a suono, verrebbe da tradurre in un modo, mentre in realtà significano ben altro. È il caso, ad esempio, di «ape» che non è l’insetto, ma significa scimmione; così come «barrister» non è il barista ma l’avvocato; oppure «bell» è il campanello e non l’aggettivo quasi uguale in italiano; o «estate» non è la bella stagione, ma significa proprietà; e «record» è un disco e non un ricordo; «magazine» una rivista e non un magazzino e «rape» è uno stupro e non una rapa e a sbagliare si finirebbe per fare una figura, quella sì, di... rapa.