Trippa e dintorni, bollito misto erotico
Il Messaggero, 23-02-2016, Giacomo Dente
Trippa, lampredotto, patè, animelle: le frattaglie hanno secoli di storia e sono mangiate in tutto il mondo. Si cucinano in mille maniere e in ogni salsa: in umido, arrosto, alla griglia sulla brace, allo spiedo, lessate o insaccate. In La bibbia della trippa. Storie, letteratura, curiosità, ricette toscane (ed. Sarnus, pp. 224, € 15), Roberto Baldini e Alfredo Scanzani fanno percorrere al lettore un viaggio nella storia di questa pietanze portandolo tra ‘beccai e frattagliai’, passando per la Scuola Salernitana e il nonno del Savonarola, brodi di ventri e budelli, gualdaffi e caldumi, le minestre di Martino e dello Sbugo.
Dalla storia al cinema: si racconta che ai tempi d’oro, quando Elisabeth Taylor si abbandonò al tormento amoroso squagliando il cuore del tenebroso Richard Burton, la lavorazione del film Cleopatra restò bloccata due
giorni perché una sera, appena calato il buio, l’ammaliante diva aveva divorato senza pudore un esagerato piatto di trippa e fagioli in un’osteria romana: “un colpo di fulmine tanto scostumato da provocarle un’imbarazzante disturbo alla pancetta dei sogni”.
Le trippe si mangiano, ma soprattutto si mangiavano, in tutte le parti del mondo e di tutti gli animali: ruminanti o meno, di bue e di vitello, di maiale (il trippino), di capra, pecora e agnello, di trota, di razza pescatrice, di merluzzo. In Toscana le parti più lavorate degli intestini bovini per una trippa prelibata sono la cuffia e la croce, il liscio, il morione, il centopelli e il lampredotto, più scuro e fragrante. I trippai di stile classico aggiungono due raffinatezze: la matrice e il buco. La matrice “è la sorgente della vita”, cioè l’uter
o vaccino; il buco è la parte dove tutto ha fine. Sono quegli stessi trippai che chiamano ricciolino la parte finale della matrice e che, a richiesta delle gole più spinte, fanno un crostino o un panino con la puppa, sempre più introvabile, e la lingua bollita, a fettine, con sale e pepe. Qualcuno lo definisce “il bollito misto erotico”.
Per secoli la trippa è rimasta un pasto da popolino, ma nel tempo ha saputo conquistare un posto d’onore a tavola. Luciano Zazzeri, nel ristorante ‘La Pineta’ (la ‘baracca’ di Marina di Bibbona a Livorno) insieme ai piatti di pesce offre ai suoi clienti un panino alla trippa di razza pescatrice. Mente alla ‘Locanda del Gambero Rosso’ di San Piero in Bagno (Forlì), cucinano - da sessanta anni - la trippa in bianco con chiodi di garofano, cannella, carote e sedano.