Nell’assenza di luce
L’Indice dei libri del mese, 01-05-2006, Alessandro Serpieri
Questo singolare romanzo, finalista al premio Viareggio 2005, è ambientato nella Somalia sull’orlo del disastro, prefigurato già nel titolo: in somalo “non c’è luce”. I personaggi sono quasi tutti insegnati italiani impegnati pro tempore all’Università di Mogadiscio. Due i protagonisti, entrambi narratori di una storia che si inabissa in un seducente rispecchiamento: uno, Valerio, che racconta in prima persona, e l’altro, Malredondo, che ha scritto un romanzo in terza persona, in cui gli stessi personaggi assumono rispettivamente i nomi di Gigi e di Marco. La strutturazione è dunque complessa, ma non artificiosa, in quanto intende proporre un indefinito slittamento di doppi che si confrontano e si confondono, lasciando aperta una ferita in cui viene riassunta l’intera esperienza del viaggio di entrambi nell’altrove.
Un altrove che è l’immensa terra africana, trionfante e desolata, in cui pullula un’umanità sofferente e disorientata tra la sua antica cultura e il dominio occidentale. Un altrove che è la cattiva coscienza del postcolonialismo e, ancor più in profondi
tà , la percezione di un irrisolvibile vuoto personale e collettivo. Nelle prospettive incrociate delle due narrazioni emerge una storia, spesso ellittica, di rapporti amicali e amorosi sullo sfondo della catastrofe che è sul punto di colpire la Somalia, ma che è anche la metafora di un fallimento universale. La denuncia ideologica e, a volte, iperletteraria, dello sfacelo si coniuga all’affiorare di dolorose memorie e alla percezione lancinante di un “cuore di tenebra” che pulsa qui e dovunque.
In questa chiave, il romanzo sembra rivisitare in chiave tardo novecentesca il tardo ottocentesco Heart of Darkness. Nell’ispirazione così come nella struttura domina il paradigma del rispecchiamento: di questa narrazione nella narrazione conradiana in quanto archetipo tematico e simbolico; del romanzo in prima persona in quello in terza; del primo personaggio nel secondo; della civiltà bianca in quella nera. Ma, a differenza che in Conrad, non si raggiunge il tragico poiché l’epoca, per quanto colma di tragedie, sembra aver perso quei valori di riferimento che possano autenticarlo. L’accento si sposta piuttosto sulla
dispersione e sullo smarrimento. Lo attestano i tanti dialoghi, a volte internamente denunciati come chiacchiere vane, che non riescono ad attingere quell’ancoraggio concettuale e sentimentale con cui potrebbe riscattarsi il grande vuoto personale, ideologico e storico. E lo attestano, in un alto e più intenso registro, le pagine visionarie dei sogni e dei ricordi di entrambi i personaggi che introiettano la catastrofe come un evento da sempre incombente nelle loro vite. Come in Conrad, si ha, nel finale, l’incontro del personaggio “esterno” con l’innamorata, o presunta tale, Helga, del personaggio “interno” ormai scomparso; e tutto resta sospeso nel segno, se non della menzogna di Marlow, di una reciproca reticenza o ellissi incolmabile della storia di entrambi.
In conclusione, il romanzo di Domenichelli potrebbe definirsi un romanzo postmoderno, nel senso che si ispira a una ltro romanzo, lo interpreta alla luce di una sofferta esperienza personale, lo dissemina e, allo stesso tempo, mentre la struttura con l’arte ricevuta dell’indefinito rispecchiamento, ne prospetta l’attuale post-tragica irredimibile distopia.