Riscopriamo Benvenuti scrittore e partigiano, il “Fenoglio di Toscana”
La Repubblica, 08-08-2015, Fulvio Paloscia
LIBRI RISCOPERTI / Riscopriamo Benvenuti scrittore e partigiano, il “Fenoglio di Toscana”
Carlo Zella ripubblica Ghibellina 24 suo secondo romanzo che racconta con stile sperimentale la battaglia di Firenze Prima pagina (segue a pagina X) UN CORO di corpi, di voci, di rumori che dalle colline intorno a Firenze precipita giù nella città occupata dai tedeschi. La sveglia, la scuote, le ridà speranza, vita. Libertà. Ghibellina 24, il libro del partigiano Gianfranco Benvenuti che uscì nel 1974 (vent’anni esatti prima della sua morte) per Vallecchi e che adesso Carlo Zella editore ripubblica come primo volume della collana “Protagonisti” curata dall’Anpi, è molto più di un memoriale. È un’opera di alto pregio letterario. Prima di tutto per lo stile, poi per la costruzione, che è quella di un romanzo dove però si raccontano solo verità: «Il fascino qui – spiega Alessandro Sardelli dell’Anpi, curatore della collana e che stasera alle 20.30 presenta il volume in piazza Santo Spirito – è tutto nel descrivere i fatti come se avvenissero in questo preciso momento, quasi fossero cronaca in diretta, nonostante Benvenuti li abbia rimessi insieme trent’anni dopo il loro svolgersi. Il memorialismo, invece, è di per sé ripensato e rimasticato». Per lo scrittore e critico Graziano Braschi, che conobbe e fu amico di Benvenuti condividendone origini (erano ambedue di Compiobbi) e militanza politica (Pci), «Ghibellina 24 è nel solco della più alta letteratura della Resistenza».
«Questo libro è un Partigiano Johnny autocensurato – prosegue Braschi – Benv
enuti non osa certo quello che osò Fenoglio (di cui era grande estimatore) ma ci va vicino con il suo stile vivido, smagliante». Lo conferma una recensione epistolare dove Sebastiano Timpanaro parla di Benvenuti come scrittore «alieno da ogni tono retorico e celebrativo, e nello stesso tempo tutt’altro che aridamente cronachistico» e di un libro «al di sopra del livello medio della pur benemerita letteratura resistenziale». Ma anche le parole di elogio che Vasco Pratolini e Luigi Baldacci ebber per gli altri due romanzi: l’opera prima L’acquisto (1972) e Il bambino della domenica (1994).
Autobiografia ma anche racconto collettivo della Resistenza, Ghibellina 24 parte dalla precoce militanza antifascista dell’autore (l’indirizzo che dà il titolo al libro era quello del «covo comunista» a Firenze da cui si diramavano le attività del Pci) per approdare, nel settembre del 1943, alla lotta partigiana sugli Appennini, tra Pratomagno e Monte Giovi. E infine la sofferta liberazione di Firenze. La narrazione è sincopata da nomi autentici e in codice di uomini e donne (compresa la sorella Liliana, anche lei partigiana: il loro incontro è un faccia a faccia impregnato di reticenza, ognuno sa della lotta dell’altro però non chiede, non indaga), strade, paesaggi. Nulla sfugge a Benvenuti, tutto è conficcato nella sua memoria e riemerge sull’onda impetuosa dell’emotività «e ogni fatto – aggiunge Braschi – è suffragato dalla consultazione di archivi storici, dalla ricognizione sui luoghi della lotta partigiana che Benvenuti fece prima di scrivere il libro. Gianfranco amava raccogliere storie locali dalla viva
voce dei testimoni: le trascriveva su quaderni scolastici, ne conservava moltissimi». La vita dell’autore e quella “degli altri” insomma, si intrecciano «per raccontare la liberazione di un territorio – spiega Sardelli – ma anche delle coscienze».
Con la fine della guerra, arriva la ricostruzione, e Benvenuti vi riversa la stessa energia impetuosa che aveva messo nell’impegno militare «cambiandole segno: diventa attività politica, sociale, culturale. Impossibile per lui stare a guardare, nelle discussioni manteneva la stessa forza dialettica raccontata in Ghibellina 24». Da una parte la militanza nel Pci «contraddistinta da una libertà così grande da indispettire lo stesso partito. E poi c’era la sua ironia (e autoironia) che si manifestava in irresistibili barzellette sulla sinistra» ricorda Braschi; dall’altra quella di intellettuale autodidatta: «nonostante fosse fuori dal mondo accademico, le sue frequentazioni incrociavano Geno Pampaloni con un giovanissimo Siro Ferrone, artisti come Sirio Midollini o Vinicio Berti». I due aspetti si fusero nell’organizzazione di dibattiti alla casa del popolo di Compiobbi, «come l’incontro rimasto nella storia, fra laici cattolici e marxisti sui temi della pace». E c’era persino un Benvenuti «burocrate»: quello che lavorava all’esattoria comunale di via del Castellaccio. «Ligissimo – conclude Braschi – eppure spesso lo incontravi seduto sulle panchine di Compiobbi, in pausa da lunghissime camminate, con uno sguardo trasognato dietro occhiali dalle lenti spesse. E capivi a cosa stesse pensando. Alla bella gioventù partigiana».