Le barzellette e il loro potere nascosto
Toscana Oggi, 19-04-2015, Antonio Lovascio
Il volume di Carlo Lapucci è il primo compendio sistematico sull’argomento, oltre che la raccolta più consistente di materiale elaborato secondo criteri filologici

Dopo averci erudito e fatto divertire con ricerche e numerosi libri di successo su tradizioni, fiabe e folklore della Toscana, sui proverbi e su tutto quanto in Italia viene definito «Costume», solo un campione della narrativa popolare come Carlo Lapucci poteva riuscire nell’impresa di completare un progetto letterario unico; realizzare quel tassello che mancava al suo repertorio, un compendio sistematico sulla forma di espressione che oggi gode di maggiore vitalità e favore presso ogni tipo di pubblico: la barzelletta. Resiste all’usura perché – lo sostiene a ragion veduta il filosofo fiorentino – si adatta ad ogni età, ad ogni persona, ad ogni situazione, e, per la brevità, rientra nei rapporti occasionali della realtà quotidiana, nelle conversazioni telefoniche e dilaga perfino in Internet. È entrata da tempo nei giornali, nelle riviste, poi nelle televisioni. Ha un posto nelle «scalette» dei comici: quante storielle abbiamo sentito o letto su Pierino e la maestra, i carabinieri, i dottori e i loro pazienti con malattie improbabili, e naturalmente l’immancabile gruppo multietnico? Da qualche anno viene proposta anche dai politici più consumati, cui forse sovviene che Cicerone nel «De Oratore» raccomandava l’utilizzo dell’ironia nei discorsi, sostenendo che chi usa in modo efficace il registro spiritoso crea un rapporto di sintonia con l’uditorio: in parte perché il buonumore procura benevolenza verso chi lo ha suscitato, in parte perché si ammira la sua acutezza. Non c’è dunque da scandalizzarsi e da stupirsi, sapendo che già i sovrani dell’antichità tenevano i buffoni vicino al trono per controllarli ed aizzarli contro gli avversari prima che queste male lingue gettassero loro addosso il ridicolo. Gli aspetti dolorosi e tragici della vita non ostacolano la fioritura di barzellette: ve ne furono tante sotto Stalin, Mussolini ed altri dittatori e tiranni
, come del resto non risparmiarono i protagonisti della ricostruzione italiana dopo la Seconda Guerra mondiale: De Gasperi, Togliatti, Nenni, Saragat. Oggi che la politica non vive certo la sua stagione migliore, prosperano battute censorie su certi attori spudorati della corruzione e sul comportamento di alcuni personaggi degli apparati che per tornaconto fingono di non vedere quello che vedono e di non sentire quello che sentono. Spesso però smascherati e «intercettati» dalla magistratura. Da queste prime annotazioni avrete capito che lo studio di Carlo Lapucci, com’è nel suo stile, parte da lontano, in pratica dalle origini dell’umorismo, dalla sua preistoria (quindi dalle bazzecole dei trogloditi appena cominciarono a parlare), risalendo ai nostri giorni attraverso il Medio Evo, il Rinascimento, l’Ottocento ed il Novecento. Così ha costruito su solide basi culturali (con riferimenti ai medaglioni delle biografie di Diogene Laerzio, Plutarco, Svetonio, di Kant e Freud, Kafka, Henri Bergson) una sorta di «Enciclopedia della risata», una raccolta consistente di materiale elaborato secondo i criteri di una filologia specifica. Aperta da un’analisi ragionata sul pensiero elementare e la «verità segreta» delle storielle, suddivise per generi: ogni capitolo è preceduto da una breve introduzione che ne permette la lettura culturale, sociale, storica, oltre naturalmente quella di puro divertimento. Fin dalla sua nascita la satira ha avuto fra i propri bersagli preferiti la Religione. E per questo lo scrittore di origini mugellane le concede il posto d’onore, essendo tuttora presa di mira: osserva che, a parte certe irriverenze verso preti e suore, le barzellette riproposte nel libro hanno come cardine del pensiero l’imperscrutabilità della mente e del giudizio divino. «I punti di vista dell’uomo e di Dio – scrive Lapucci – non collimano e l’uomo lo dice chiaramente; ma anche l’illustre interlocutore lo fa capire chiaramente», come appare dalla storia del fedele che chiede un milione di monete d’oro. Molte sono dedicate all’Aldilà, altre ancora ai miracoli e a
lle credenze popolari, ai Vizi Capitali, alla gerarchia ecclesiastica ed ai richiami della Chiesa in tema di famiglia e sesso. Temi e battute trattate con delicatezza. Ricco e interessante è anche il capitolo sulle Istituzioni: dopo aver ricordato che la sfiducia nella politica è presente nelle barzellette fino dai tempi d’Aronne, Lapucci offre alla riflessione una serie di aneddoti sulle ideologie, su Comunismo e Fascismo, su Sindacato e masse, inserendovi il vasto, infinito repertorio sull’Arma dei Carabinieri, e quello ancor più spietato sulla Malasanità e sulla Giustizia. Nel quadro sociale nessuno sfugge alla satira, che impietosa sbircia dal buco della serratura nelle case delle famiglie, nella vita sessuale delle coppie, nel rapporto complesso tra medico e paziente. E, travalicando i confini, c’è spazio pure per rappresentare le rivalità tra Nazioni e Superpotenze, per mettere sotto la lente d’ingrandimento popoli, costumi e civiltà diverse. Mi trova d’accordo la citazione dello storico-scrittore russo Nikolaj M. Karamzin, conosciuto per aver rivoluzionato il linguaggio letterario del proprio Paese: «Ridere di ciò che è ridicolo non è davvero un peccato». Quindi il volume di Carlo Lapucci può essere tranquillamente accolto come un testo di spassoso intrattenimento, capace di strappare un sorriso nei momenti di noia. Ma le storielle, raccomanda l’Autore, non vanno prese mai sottogamba, perché spesso il loro lato farsesco evidenzia le contraddizioni di un popolo, di una classe sociale o di un regime. «Usata in modo equilibrato, leggero e benevolo – spiega Lapucci – la barzelletta costituisce un meccanismo di riequilibrio delle tensioni sociali. Ma usata con malignità e cattiveria può essere distruttiva! Un ultimo avvertimento: attenti al linguaggio! Quando la trivialità è gratuita, diviene insopportabile e denuncia con evidenza l’incapacità di raccontare, divertire, far ridere con la comicità vera». Questo rischio, ve lo assicuro, non si corre proprio con l’ultima «creatura» di Lapucci e Polistampa.