Discorsi parlamentari (1861-1879)
Il mestiere di storico, 01-01-2013, Marco De Nicolò
Patrocinato dal Comitato nazionale per le celebrazioni del bicentenario della nascita, vede la luce un volume che raccoglie gli interventi in Parlamento sostenuti da Bettino Ricasoli come deputato o come presidente del Consiglio. Dalla lettura del volume emerge la sua complessiva visione dello Stato. Se ne annoteranno qui solamente alcune essenziali coordinate.
Un elemento rilevante della politica ricasoliana è senz’altro la scelta, da cui scatu­rirono effetti di più lunga durata, della costruzione di un ordinamento che, dal 1861, si stabilizzò nella forma dell’accentramento. Si trattò di una normativa che cozzava, sì, contro una larga e condivisa aspirazione della classe dirigente verso il modello del self-government inglese, ma che aveva alla base un suo realismo politico e la misura effettiva delle condizioni di debolezza del nuovo Regno, scosso dal brigantaggio e in urto con la Chiesa. Caratteristica della politica del barone fu anche la contrapposizione alla compo­nente democratico-garibaldina. Ricasoli, che non negò un dualismo polit
ico nel processo risorgimentale, si schierò, come emerge da una sua interpellanza dell’aprile 1861, per il drastico ridimensionamento dell’idea di «nazione in armi» propria del garibaldinismo, una posizione che, come ricorda Breccia nell’introduzione, univa, nel timore della de­stabilizzazione, le componenti della Destra storica. Un terzo elemento cardine è rappre­sentato dalla posizione nei confronti della Chiesa. L’«azione demiurgica» di un governo investito di un compito etico-politico si concretizzava nell’invito alla gerarchia ecclesia­stica a compiere quella renovatio ecclesiae in grado di mutare anche i rapporti con lo Stato italiano. Si trattò del vero punto debole della proposta di Ricasoli, che distorceva la linea di Cavour e dava adito a un innalzamento della temperatura a livello diplomatico. È interessante vedere come quella linea mutò, dopo il 20 settembre, in un contributo più realistico alla soluzione della questione romana.
Importanti sono anche le pagine dedicate alla presa di
posizione sugli incidenti di Torino, nel settembre 1864, dopo la decisione del trasferimento della capitale del Regno a Firenze. Si strinse in quel caso un’alleanza non sempre facile tra i moderati toscani e il gruppo di Minghetti (basti pensare alla scelta in merito all’ordinamento amministrativo). Ovviamente non appaiono secondarie neanche le posizioni relative agli interessi toscani, difesi in particolare nel mantenimento delle concessioni ferroviarie, un argomento che lo avrebbe nuovamente contrapposto a Minghetti e che avrebbe aperto la strada alla caduta della Destra storica. La tendenziale affermazione dei poteri dell’esecutivo, le contestazioni ricevute da parte democratica in ordine a una sua visione piuttosto restrittiva delle garan­zie statutarie, così come alcune distonie con la Corona, appaiono altri punti significativi che emergono dal volume. Altri se ne potrebbero trarre anche per l’intelligente cura di Alessandro Breccia, svolta attraverso un’introduzione ricca ma non esondante e con una sistematica contestualizzazione dei discorsi di Ricasoli.