Muri rossi, la realtà diventa romanzo
AGI China 24, 23-07-2013, Alessandra Spalletta
Immaginate di ritrovare la Cina che conoscete condensata in un romanzo, sotto forma di finzione. Immaginate che ciascun racconto che compone questo romanzo racconti la solitudine che avete molto spesso provato, mentre eravate in Cina; mentre siete, oggi, in Cina. Immaginate di non essere più soli mentre leggete un libro che parla di solitudine in terra straniera, perché ciascuna storia vi ricondurrà a voi stessi. A voi, studiosi di Cina, o più genericamente, gente che vive nel ventre di un paese disinvoltamente ricco e cripticamente povero, è dedicato il primo romanzo di Stefano Cammelli.
L’autore è un professore emiliano di storia contemporanea; dirige da anni un centro di studi sulla Cina, e in Cina è spesso di ritorno, da oltre trent’anni. Cammelli dev’essersi a un certo punto fermato, quasi a rifiatare. Ha messo in pausa il caos che con cui la Cina ti avvolge, riavvolgendo il nastro della memoria. E rifugiatosi in un luogo appartato ha intinto la mente nell’inchiostro, e ha inventato. La Cina e le sue storie, materia ideale per giornalisti. Eppure la stampa imprime i fatti ma smarrisce i sensi. C’è qualcosa di parziale, nel giornalismo; di perennemente irrisolto. Laddove nelle pieghe della letteratura la simulazione svela uno spazio veritiero; un’approssimazione alla verità meno imperfetta della cronaca.
Cammelli scarn
ifica la complessità di un paese difficile da capire, che sfugge a una visione completa, lucida. È il dubbio che assilla chi della Cina ha fatto il proprio mestiere; conoscerla da vicino equivale alle volte a smarrirla. Lo scegliere la Cina sottende una fuga. E ci si ritrova soli, a metà tra due mondi; tra due identità respingenti. È il dilemma dell’oggi; e del tempo perduto. Cammelli dedica gli otto racconti che raccontano di otto occidentali colti in epoche diverse nello sforzo di comprendere il Drago, a personaggi realmente esistiti che hanno ispirato l’autore: da Edgar Snow a John Fairbank. Il primo, tradito dal suo paese ed esiliato in Svizzera, deve aver fatto particolarmente compagnia all’autore durante la scrittura. Di questi otto personaggi, infatti, Cammelli descrive fallimenti, sensi di colpa, e piccole vittorie.
L’ex-diplomatico americano del primo racconto, “Sbagliammo tutto”, rievoca il fallimento della politica americana in Cina che scalfì la vita ai diplomatici e ai corrispondenti che lì operarono fino al 1945, “una vita segnata dalla sconfitta, spesa nell’ombra del rancore di un paese che ancora non era riuscito a comprendere perché avesse perduto la Cina. Eppure, cosa ne sapevano allora gli Stati Uniti della Cina?” dice John, che cacciato dalla Cina e tornato negli Stati Uniti, si riscatta negli anni
e diventa professore; e torna in Cina, acclamato come studioso. E ormai vecchio a un simposio di accademici, non potendo più comprimere la rabbia per altri colleghi che non ce l’hanno fatta schiacciati sotto il peso dell’umiliazione, dice: “Ma quando in qualche modo cercammo di comprendere… l’intero paese ci abbandonò, ci voltò le spalle. Ci trovammo soli, perduti, feriti da un’accusa ingiusta e infame: quella di aver tradito il nostro paese”.  Cinesi in America, americani in Cina. Identità irrisolte in eterno conflitto. Il giornalista francese che denuncia le aberrazioni della rivoluzione culturale ma nessuno gli crede in Occidente, incantato dall’illusione del maoismo. E poi la studentessa di Bocconi. E poi il generale in pensione.
E poi infine il racconto che dà il titolo al libro, Muri Rossi. Dove troviamo un esperto di Cina emiliano (“sempre che possa esistere un esperto di Cina”) che vive letteralmente a metà tra due mondi, non riuscendo ad abbandonare la terra d’origine – troppo forti le radici – per andarsi a radicare in un altrove che però è casa. “Era diventato il cinese in Emilia e l’emiliano in Cina”. Il sospetto che Cammelli abbia voluto entrare come protagonista nel suo romanzo, accompagna dolcemente la lettura verso la fine. E ti fa sentire meno solo.