Marco Teglia e le spassose avventure del Popolo
La Repubblica, 28-05-2013, Adriano Sofri
“Nacque Guerrino Anchioni, ma la mamma non ebbe latte per sfamarlo, lo portava, dunque, da tutte le conoscenti di recente parto. Guerrino succhiò il latte di cento donne del popolo, ebbe cento fratelli, divenne il figlio del popolo e poi il “Popolo”, come tutti da allora lo chiamarono”. Era il millenovecentoventotto.
Nasce di nuovo, il Popolo, per la penna di Marco Teglia, nella campagna della Lucchesia, e si fa la sua strada, avanti e indietro, venti chilometri a andare e venti a tornare, a vendere braccia e vanga, e intanto recita a memoria i versi della Gerusalemme e di Dante e dell’ Orlando.
Finché stabilisce di prendere il treno e andare agli Uffizi a veder Giotto, L’Angelico e Leonardo. Il Popolo è un gran personaggio, che fa ridere e intenerisce. Anche Marco Teglia. Magari lo conoscete, per qualcuna delle serate che fa nei locali e i teatri e le case raccontando le sue storie e cantando le sue canzoni, metà sentimentali da far quasi piangere, metà comiche da far ridere con le lacrime agli occhi. Insomma, il Popolo viene a Firenze. Sale sul treno come un soldato che va alla guerra. Riconosce passando il campanile della sua frazione, e lo saluta: “Ciao Italia!”. Al Duomo non c’è un omino che rovescia manciate di granturco ai piccioni? “O che li mangiate?” “Mangiate cosa?” “Codesti piccioni”. “O che date i numeri?”, risponde quello inorridito. “Allora che li governate a fare?” “Rallegrano la città con i loro voli”. Un piccione gli sale sul cappello, gliela fa sulla
giacca. “Sì, rallegrano la città e concimano la vostra bella giubba”, ride il Popolo, pensando che quello è più bischero di lui. In piazza della Signoria si indigna per la Giuditta che ha tagliato la testa di Oloferne, e gli hanno fatto pure un monumento; poi agli Uffizi passa e ripassa davanti alla Madonna di Giotto, con l’occhio intenditore, fissa la vergine al centro, e sembra guardarlo, si sposta di lato, e continua a fissarlo. “Questa move gli occhi!” All’uscita va a mangiare un boccone. “Vorrei la trippa”. “Alla fiorentina?” “E come se no?” “Alla fiorentina!”. In città non sono di poche parole. Incontra uno, ci parla un po’, quello lo trova buffo. “Anche voi siete buffo, parete un prete”. “Sono un prete!”. I preti di città sono strani.
Anche al paese c’è gente strana, ma si conosce. Ferragalline, il miglior amico del Popolo, fa il fabbro, è bravo, si fa pagare in uova, farina da polenta, castagne. Un vizio ce l’ha, di rubacchiare. Quello che gli manca per il lavoro, lo prende dove lo trova. Il Popolo gli chiede una lastra di marmo per il lavandino, la sua gli s’è rotta. Ferragalline gliela procura, e va a montargliela, quando il Popolo è a vangare. Raccomanda alla sorella del Popolo di non toccarlo finché la calce non avrà tirato. Il Popolo torna, gli pare che il marmo sia bello lucido, e anche robusto. “Già. Robusto!”, fa lei con l’aria ironica. “Perché, non ti piace?” “A te ti p
iace?” “A me sì, e poi il marmo è sempre marmo”. “Allora vieni a vedere!”, e s’infila sotto la lastra cementata, e gli mostra la scritta: “Qui giace colpito da fiero morbo...”.
Il Popolo pensa molto, e per conto suo. Pensa che dritti si ha un’aria di prosopopea, e distesi non si vale nulla, come essere vivi o essere morti. Poi pensa che è vero anche il contrario, per uno sdraiato quello ritto è disteso, e forse per uno morto il vivo è il vero defunto e viceversa. Cerca di sbrogliare i pensieri, ma intorno le cicale fanno sarabanda, riempiono tutto, non lasciano l’intimità. “Le cicale rompono i coglioni!” sentenzia il Popolo a voce alta, le cicale si zittiscono.
Le storie più belle, più allegre e più commoventi, non ve le dico, se no vi rovino il libro. Si intitola “Il Popolo va agli Uffizi”, edizioni Sarnus, La Toscana racconta, costa 7 euro. È illustrato. Potete immaginare Pinocchio senza le figure? Anche il Popolo. I disegni sono di Cesare Serni, sono fatti su misura. C’è una prefazione di Adolfo Natalini, che passa parecchie sere a inseguire Teglia nelle osterie di qua e di là. Marco Teglia somiglia al suo Popolo? Non tanto: ha un aspetto da Mangiafuoco, ma la sa lunga, è musicista e antiquario, e figlio d’arte, perché suo padre Remo era medico e scrittore di libri pubblicati nei “Gettoni” Einaudi di Vittorini. Però Marco è mimetico, e sa mettersi nei panni di un filosofo di campagna, suonatore di trombone e senza amore.