Analisi sulla deriva terroristica della sinistra extra-parlamentare
Giornale di Cantù, 05-04-2013, ––
Abbiamo intervistato il professor Giuseppe Gagliano, Presidente del Centro studi strategici Carlo De Cristoforis (CESTUDEC) e docente di Storia e Filosofia presso il Liceo scientifico Sant’Elia di Cantù. Fra qualche mese uscirà da Aracne (casa editrice romana, specializzata in saggistica universitaria) il suo nuovo volume dal titolo provocatorio «Utopia, violenza rivoluzionaria e terrorismo nel movimento del sessantotto e del settantasette».

Quale è lo scopo che ha voluto conseguire con questo nuovo saggio?

«Ho voluto porre l’enfasi – nel primo capitolo del volume – sulla esistenza di tecniche antagoniste ricorrenti usate dal movimento del sessantotto (l’agitazione sovversiva, la disinformazione, l’intossicazione etc.); nel capitolo secondo la mia attenzione si è soffermata sulla presenza nel movimento del sessantotto europeo e americano di nuclei tematici comuni. Dal capitolo terzo al capitolo quarto – attraverso un approccio storico-sociologico derivato dalle riflessioni di Aron, Matteucci, Romeo, Ventrone, Breschi, Ventura e Orsini – ho voluto sottolineare, fra l’altro, la profonda continuità ideologica tra il movimento del sessantotto e il terrorismo di estrema sinistra in aperto contrasto con una storiografia agiograrfica che ha interpretato il sessantotto e il sessantasette come due fasi storiche profondamente diverse».

Quali interpretazioni sono state date da questi autori che, immagino lei condivida?

«Certamente. Aron, uno dei massimi sociologi e studiosi di relazioni internazionali europei, ebbe modo di stigmatizzare nel volume “La rivoluzione introvabile”, il maggio francese del sessantotto come un psicodramma collettivo recitato da attori convinti di poter replicare le festa dei loro padri rivoluzionari. Quanto agli intellettuali rivoluzionari questi furono definiti da Aron rivoluzionati da aula magna per non parlare della contestazione nel suo complesso definita come una maratona delle chiacchiere. Certo il maggio parigino fu possibile per la debolezza e la latitanza del potere politico; quanto al clima delle università francesi questa era caratterizzata dalla mancanza di regole democratiche e dal clima caratteristico soprattutto delle assemblee nelle quali i moderni demagoghi si servivano di raffinate tecniche manipolatorio., Inoltre Aron non ebbe alcuna difficoltà a dimostrare come, sia gli studenti che gli insegnanti nella maggioranza dei casi fossero politicamente e sindacalmente organizzati; addirittura vi erano docenti che mobilitavano studenti di 14 o 15 anni, che li indottrinavano e infiltravano i loro agenti all’interno dell’istituzione universitaria per sovvertirla. La democratizzazione alla quale miravano non era nient’altro che l’applicazione del modello cubano o del modello cinese o in alternativa perseguivano lo scopo di rafforzare l presenza comunista».

Fra gli autori citati nel suo volume il giornalista Michele Brambilla ha certamente una posizione di rilievo.

«E come non avrebbe potuto averla? Nel suo volume, “L’eskimo un redazione”, Brabmilla (oggi editorialista de La Stampa) osserva come la stampa italiana degli anni 70 e gran parte degli intellettuali italiani, avessero posto in essere veri e propri processi disinformatici volti in primo luogo a costruire teorie complottistiche secondo le quali il terrorismo di estrema sinistra e di estrema destra sarebbero stati determinati da centrali politiche italiane e straniere con la complicità e connivenza dei servizi di sicurezza italiani e americani e in secondo luogo sottolinea come i procedimenti disinformativi messi in atto dalla stampa italiana erano prevenuti a negare la realtà drammatica delle violenze degli attentati delle Br stabilendo in modo arbitrario nessi di causa ed effetto tra il proliferare del terrorismo e determinati momenti delicati della vita politica italiana. Infine Brambilla sottolinea che la disinformazione fu amplificata in modo esponenziale dalla diffusione capillare della stampa periodica, dal contesto politicamente favorevole degli anni sessanta e settanta nel mondo universitario e scolastico al punto che questa condusse la società civile a valutare in modo profondamente diverso la pericolosità del terrorismo di sinist
ra rispetto a quello di destra».

Uno degli aspetti maggiormente provocatori del suo volume è la stretta correlazione che attua tra il partito comunista e l’estrema sinistra. Ce ne vuole parlare?

«Vede lo storico Danilo Breschi, docente di Storia delle Istituzioni Politiche all’Università LUSPIO di Roma e autore dello splendido volume “Sognando la rivoluzione. La sinistra italiana e le origini del ‘68”, per esempio, osserva come sia il Pci che il Psi avviarono già a partire dalla seconda metà degli anni ’50 nell’ambito universitario una graduale opera di penetrazione con lo scopo di condizionare il governo strumentalizzando l’antagonismo studentesco con la finalità di determinare una graduale crescita elettorale. Insomma il Pci diede un contributo rilevante in termini di destabilizzazione del nostro paese. D’altronde la legittimazione, ad esempio, della violenza rivoluzionaria nei confronti dello Stato liberale capitalistica, non affondava le proprie radici ideologiche proprio nell’ideologia marxista di cui il Pci era il portavoce istituzionale? E che dire delle riflessioni dello storico Renzo De Felice che attuò un interessante raffronto tra la sinistra extraparlamentare e la sinistra nazista? Secondo De Felie il movimento, e in generale i gruppi extraparlamentari degli anni ’70 potevano essere meglio compresi ed interpretati alla luce di alcuni concetti chiave ampiamente presenti nella sinistra nazista: il rifiuto dell’élite, la ricerca di una democrazia plebiscitaria e populistica, l’ostilità verso la cultura e la tradizione educativa borghese, che portava alla negazione stessa della storia e all’irrazionalismo. Anche De Felice sottolinea come al di là dei contenuti di cui i movimenti si facevano portavoce, la loro ideologia fu protetta e insieme strumentalizzata dai partiti della sinistra storica determinando da un lato la convinzione da parte degli studenti di essere una forza rivoluzionaria. D’altra parte, l’incapacità di controllarli da parte del Pci e del Psiup determinò la deriva terroristica. Quanto poi alle alle presunte innovazioni di natura pedagogica proposte negli anni settanta, queste non erano altro che una vera e propria forma di imbonimento cioè di indottrinamento ideologico sistematico e capillare attraverso il quale veniva insegnato solo quel punto di vista negando a priori validità a qualsiasi altro punto di vista, finendo dunque per squalificare il diverso fino a irriderlo, manifestando in questo modo una cultura manichea portatrice di odio e di intolleranza».

Una posizione di rilievo nel suo volume viene tributata al cattolicesimo di sinistra.

«Guardi il filosofo della politica Nicola Matteucci, padre nobile del liberalismo italiano, Presidente dell’Istituto Carlo Cattaneo e fondatore della rivista Il Mulino, ebbe modo di rivelare nel saggio sul sessantotto come l’insorgenza populistica sessantottina, aveva determinato il nascere di una vera e propria zona grigia tra cultura cattolica e comunista che ebbe modo di manifestarsi rispettivamente nella mistica dell’operaio, le quali – conducevano rispettivamente da un lato fuori dal marxismo verso il sindacalismo rivoluzionario e dall’altro lato verso un travisamento radicale del cristianesimo la cui finalità non era la trasformazione della società , ma la salvezza dell’anima. Un messaggio questo validissimo ancora oggi. Mettere insieme il marxismo ateo con il cristianesimo costituisce un vero e proprio incesto ideologico».

Ritorniamo per un attimo sulla realtà del mondo universitario italiano di quel periodo.

«Nel mio saggio trova largo spazio la riflessione del massimo storico del Risorgimento italiano, Rosario Romeo docente si Storia Moderna alla LUISS di Roma, per il quale una delle conseguenze più nefaste del ‘68, e in particolare dell’alleanza tra partito comunista e gruppi di estrema sinistra, fu la sistematica devastazione delle istituzioni formative, la sinergia di queste forze politiche determinò la degradazione della scuola e dell’università a meri strumenti di ordine pubblico destinati a trattenere e ad assorbire le minacce d’ordine politico che
il governo e le istituzioni politiche non erano in grado di affrontare sul terreno specifico delle normative e della repressione. Insomma, le scuole – come le università – fur9ono trasformate in centri di agitazione e propaganda, nelle quali regnavano sopraffazione e violenza. Quanto al ruolo del Pci questo attuò, con la connivenza e la complicità della sinistra extraparlamentare, una vera proprio egemonia totalitaria all’interno dell’università e, al di là della retorica relativa al pluralismo a alla democrazia, il Pci stese su tutto il paese ima rete dalle maglie sempre più stretta attuando nei confronti dei gruppi dell’estrema sinistra una tattica che Romeo ebbe modo di denominare nel suo celebre volume “Scritti politici” introdotto da Spadolini – non senza ironia – del piromane-pompiere. D’altronde, pur in contesti storici differenti, la sinistra attuale, in stretta sinergia con determinati sindacai e determinate associazioni studentesche, non hanno operato nello stesso modo nei confronti della Riforma Moratti e Gelimini? E che dire delle innumerevoli autogestioni e/o co-gestioni eterodirette che hanno trasformato le scuole italiane in enclavi ideologiche caratterizzate da intolleranza e odio ideologico, in distaccamenti locali di determinati partiti (a radicamento locale e/o nazionale) permettendo a numerosi “insegnati”, presidi e vicepresidi di fare carriera politica a livello locale e nazionale attraverso iniziative culturali legate anche a determinate librerie dalla provata fede politica, a proiezioni cinematografiche ad hoc ad attuarsi in cinematografi di provata fede politica, attraverso coordinamenti della pace (indirettamente collegati a determinati movimenti e/o partiti veicolo di propaganda ferocemente antimilitarista), attraverso associazioni equo e solidali (animate da un odio fanatico di ispirazione pauristica verso il capitalismo tout court)»?

Senta, a proposito della continuità con il terrorismo, cosa ha da dirci il suo saggio?

«Nel mio saggio si osserva come le utopie della sinistra extraparlamentare degli anni sessanta avranno modo di realizzarsi coerentemente proprio all’interno delle associazioni terroristiche come Prima Linea, le Br e i Nap. D’altronde Angelo Ventura, professore emerito di Storia contemporanea presso l’Università di Padova, avrà modo di sottolineare nel volume “Per una storia del terrorismo in Italia” come l’ideologia della violenza e il terrorismo traessero origine principalmente dalla borghesia intellettuale e naturalmente dalle istituzioni formative. Proprio al loro interno è nata la cultura della violenza del terrorismo e sie è sviluppata all’interno delle istituzioni culturali trovando simpatie, indulgenza e omertà nell’estabilishment intellettuale. Durante il decennio che va dal 68 al 77 gran parte degli intellettuali italiani, come ha osservato Angelo Panebianco, si è riconosciuta nella rivoluzione plasmando in modo quasi totalitario il clima culturale del nostro paese. Per un decennio insomma i nostri intellettuali si ubicarono di truci slogan contro il capitale e i suoi servi sciocchi e di raffinate analisi della classe operaia e dell’economia politica. Il ‘68, insomma, dimostrò la capacità della potenza politica degli intellettuali – quando fanno massa – sulla società civile e sull’istituzione, ma fu anche la dimostrazione della incapacità degli intellettuali di accettare le regole della democrazia liberale. Non a caso, nonostante le contestazioni di cui il Pci fu oggetto durante il decennio che va dal 68 al 78, il partito comunista fu l’unico interlocutore del movimento degli anni sessanta. Ebbene, le conseguenze che il lungo decennio ebbe, si manifestano ancora oggi poiché grazie al ‘68 entrarono in magistratura giovani che credevano nell’uso alternativo del diritto borghese, entrarono nella pubblica amministrazione servitori dello Stato educati a disprezzare lo Stato, entrarono nelle scuole uomini e donne che si dettero con zelo a trasmettere alle nuove leve un pauperismo cattolico travestito da concezione marxista della storia e un senso di ribrezzo per gli orrori della società capitalistica dello Stato.»