Ottobre!
La Repubblica, 03-11-2012, Laura Montanari
Lo studioso toscano: “La tirannide rossa nasce nelle campagne”. Ettore Cinnella, docente a Pisa e fra i massimo studiosi di storia russa, ripercorre gli errori e le forzature di Lenin durante e dopo il 1917

Gli altri, a parte Lenin. C’ è un mondo contadino, socialista e rivoluzionario, che i bolscevichi non hanno capito. Ci sono altri motori popolari nella polifonia della Rivoluzione russa del 1917 che vanno oltre i nomi dei leader più conosciuti e letti sui manuali di storia. Sono le voci che Ettore Cinnella, docente all’ università di Pisa e considerato uno dei massimi esperti in Italia di storia russa, è andato a cercare nelle biblioteche di Parigi, Monaco, Vienna ed Helsinki che custodiscono i giornali di quel tempo, lettere e testimonianze originali; negli archivi di Mosca dove tutta la documentazione è riemersa con la fine del comunismo «permettendoci di capire meglio quello che avvenne». 1917. La Russia verso l’ abisso (Dp, Della Porta editore, pp. 415, 24 euro) è il volume fresco di stampa firmato da Cinnella che sarà presentato il 25 novembre, nell’ ultimo dei tre giorni dedicati al Pisa Book Festival. «Analizzare nuovi documenti soprattutto documenti di riunioni e assemblee avvenute in quegli anni nelle campagne russe, ci permette di allargare il gioco complicato degli attori sulla scena della Rivoluzione di ottobre (che in Occidente per la differenza fra calendario giuliano e gregorian
o ricorre il7 novembre, ndr) di ricostruirlo aggiungendo nuove pedine» racconta il docente. «Ancora oggi la rivoluzione del 1917 viene vista come il risultato politico e organizzativo di Lenin, figura sicuramente centrale, ma non l’ unica di quegli anni che hanno innumerevoli protagonisti politici e sociali». Il lavoro dello storico pisano è stato quello di ricercare gli altri soggetti e di spiegare come via via cresceva l’ isolamento bolscevico che aprirà poi la strada alla «tirannide militaresca suscitando la resistenza delle masse popolari e la protesta dei partiti rimasti fedeli agli ideali del socialismo». La Guerra mondiale è un evento che cambia molte cose: «Trasforma gli uomini - spiega Cinnella - Non è un evento specificatamente russo, ma si abbatte sul paese ingigantendo e acuendo i mali di cui soffriva. Quando nel febbraio-marzo del 1917 il popolo della capitale insorge, i contemporanei pensano di trovarsi davanti alla rinascita della rivoluzione democratica che nel 1905 era stata soffocata dal regime zarista». Invece in mezzo c’ è stato il conflitto mondiale e anche se gli attori sulla scena sembrano gli stessi in realtà sono profondamente cambiati, «quasi irriconoscibili» aggiunge lo storico. «I liberali erano diventati più moderati perdendo la spinta sociale che li aveva caratterizzati nel 1905 e molti gruppi socialisti avevano rinunciato - prosegue il professore - agli i
deali pacifisti. Dal canto loro Lenin e i bolscevichi nel 1917 lanciavano parole d’ ordine primitive dimenticando la fase democratica, parlano di democrazia diretta, di autogestione politica, di controllo operaio sulla produzione delle fabbriche». Così la radicale e incendiaria propaganda bolscevica riesce a fare breccia nelle masse urbane esasperate da guerra e fame: «Eppure la vittoria bolscevica - sostiene in questo nuovo saggio Ettore Cinnella - non era affatto inevitabile come mostrò la pacifica rivoluzione contadina della primavera del 1917 condotta dai socialisti rivoluzionari di Cernov, eredi della tradizione populistica». Il giallo che Cinnella indaga è proprio il dissolversi politico dei socialisti rivoluzionari quando sono al culmine della popolarità, dopo che hanno creato i soviet contadini e i comitati agrari: «Erano convinti che la terra dovesse andare a chi la lavorava, dicevano la terra è di Dio. I bolscevichi non capirono mai quel mondo che pure era l’ 80% della Russia, c’ era troppa rigidità nel loro pensiero, immaginavano campagne popolate da borghesie contadini, invece c’ erano soltanto contadini più ricchi e contadini più poveri. E quando ci furono delle difficoltà annonarie Lenin pensò immediatamente a un sabotaggio della borghesia agraria nei confronti della rivoluzione». Invece si ribellavano perché avevano dato loro la terra e toglievano loro il raccolto.