Leonardo Pinzauti. Penna e violino
Toscana Oggi, 16-09-2012, Antonio Lovascio
Ritorna sulla scena Leonardo Pinzauti. Un «viaggio» tra penna e violino, che recupera immagini dell’infanzia nelle case dei genitori e della zia Giulia vicino all’Impruneta e in Maremma, delle prime provvidenziali esperienze esterne che hanno preceduto la definitiva «conversione artistica» maturata a partire dal 1947, frequentando alcuni professori del Maggio fiorentino impegnati in trasferta nelle attività dell’Accademia Chigiana di Siena. Colpito allo stesso tempo dalle secuzioni e dalla conoscenza di qualche «genio in fieri», come il trentaseienne direttore Guido Cantelli («non simpatico ed irritante come uomo»), pupillo di Toscanini, morto prematuramente, che sarebbe potuto diventare una specie di «Karajan italiano». È un Pinzauti più intimo e meno conosciuto anche dai colleghi di fine Novecento, quello che scopriamo nel gustosissimo libriccino edito da Polistampa (Gente fuori casa e musica dopo Montebuoni). Pagine che sanno molto di un diario arricchito nell’età matura, ora avviata alle 86 primavere magnificamente portate. Impressioni ed emozioni provate prima di diventare quel grande personaggio che la sua monumentale produzione di articoli, saggi e volumi oggi documenta. In un percorso che lo ha visto musicologo del «Giornale del Mattino», redattore al «Popolo» di Roma e poi direttore del quotidiano cattolico fiorentino lanciato da Ettore Bernabei per sostenere le battaglie politiche di La Pira; critico dell’«Approdo», prestigioso titolare per 35 anni – fino al Duemila – della rubrica musicale de «La Nazione»; direttore responsabile della «Nuo
va Rivista Musicale Italiana», insegnante di storia della musica al Conservatorio «Cherubini», dove appunto – prima della laurea in Lettere – si era diplomato violinista studiando con Vincenzo Parini e Sergio Materassi.
Quasi divertito, Pinzauti rivive i suoi passatempi da bambino con le palline di terracotta che si portava in tasca per giocare a «nocino» in un modo ormai scomparso, che gli fa pensare quasi ad un sogno irreale. Racconta le gite all’alba con i cacciatori, le corse per salire sul tranvai e quelle in bicicletta sulla salita di San Gaggio. Si sofferma sugli anni giovanili dedicati allo studio al liceo Galileo e poi al violino; sull’influenza che hanno avuto nella sua formazione don Raffaele Bensi e quel gruppo di grandi intellettuali cattolici che ruotava attorno alla chiesa di San Michelino, in via dei Servi; sulle prime sortite «fuori casa» non più da studente ma come orchestrale, nel 1944, al Teatro Metastasio di Prato, a Carrara e Colle Val d’Elsa: Firenze era appena stata liberata dagli Alleati, ma sulla linea Gotica la guerra non si era ancora fermata. Momenti narrati con nostalgia, che lasciano poi campo agli incontri con protagonisti della ribalta musicale e teatrale del secolo scorso, quali Abbado, Bartoletti, Berio, Bernstein, Bussotti, la Callas, Dallapiccola, Toti Dal Monte, Gavazzeni, Giulini, Gui, Karajan, Malipiero, Massimo Mila, Riccardo Muti, Petrassi, Siciliani, la Tebaldi e Torrefranca. Attraverso aneddoti, retroscena, garbate riflessioni personali, il lettore viene accompagnato quasi per mano dall’autore nei luoghi che hanno visto svilupparsi le eccellenze della musica in Toscana, come appunto l’Accademi
a Chigiana di Siena e il Teatro Comunale fiorentino. Proprio a Siena è nato il lungo, solido rapporto di amicizia, di stima ed affinità culturale tra Pinzauti e il grande maestro Gianandrea Gavazzeni («uno dei personaggi più affascinanti del Novecento europeo»), che, con la sigaretta in bocca e l’accento bergamasco, conquistava tutti nelle divagazioni notturne in trattorie e poi in interminabili su e giù per le stradine attorno a Piazza del Campo.
Affascinante anche quando negli anni Sessanta (Pinzauti era già un autorevole critico musicale) a Firenze parlavano ancora – in un continuo scambio di idee e di sensazioni, di sfoghi polemici e di confessioni andati avanti fino al 1995 – delle persone più diverse: da Mussolini a Dallapiccola, da Machiavelli a «don Angelo Roncalli» (come il maestro chiamava, con occhi pieni di lacrime, il Giovanni XXIII da poco scomparso), da Betocchi e Luzi a Petrassi e Pizzetti. O delle esibizioni fiorentine di Bruno Walter. «Li ho accostati non a caso a conclusione dei miei tanti ricordi di «conversione» professionale – commenta Leonardo Pinzauti – proprio per l’assonanza che avverto ancora oggi tra la figura di Gavazzeni e il ricordo solitario di un ultimo e grande personaggio più che mai emozionante: quello appunto di Bruno Walter. Lui è stato l’impressionante «servo della musica» di cui ho letto anche in libro le riflessioni estetiche e morali; ma purtroppo come enorme direttore d’orchestra ho potuto ascoltarlo dal vivo soltanto alle prove e la sera del suo ultimo concerto a Firenze, quello del 25 maggio 1954 al Comunale».