Fra storia e mito il viaggio lucano di Brancale prof e marinaio
La Gazzetta del Mezzogiorno, 03-11-2012, Mimmo Sammartino
Racconto, dunque sono. Ed è racconto di terra, di vita, di dignità, di amicizia. È racconto di fatica. La fatica di farsi vate e contastorie. Di interpretare dolori e sogni della propria gente. Fascinazioni e sconfitte. C’è questo mondo nell’opera di Giuseppe Brancale. Opera per la quale una grande anima come Carlo Levi affermò: «Mirabile sintesi dell’antico col moderno». E ancora scrisse all’autore: «Mirabilmente hai saputo mettere a fuoco sentimenti e problemi della ta gente, della nostra gente, alla quale è sempre rivolto il mio pensiero».
Con l’uscita dei suoi romanzi «Fantasmi che tornano» e «Lettere a Michele e altri racconti», dopo la pubblicazione di «Il rinnegato» ed «Echi nella valle» si completa il progetto di pubblicazione delle opere complete dello scrittore, insegnante e marinaio lucano, originario di Sant’Arcangelo e poi approdato a Firenze, scomparso prematuramente nel 1979, all’età di 54 anni.
L’opera di Brancale è stata curata dal centro studi umanistici dell’Abbazia di San Savino, guidato da Luca Nannipieri. Lavori, in parte inediti, che risalgono agli anni Settanta.
La sua scrittura è segnata da un andirivieni fra cuore e ragione. Fra piano r
ealistico e visionarietà. Fra storia e mito. Dalle speranze di un riscatto da Migalli (alias Sant’Arcangelo) e per Migalli di quel Giuseppe Prestone, emigrato in Argentina che ritorna sconfitto al paese d’origine («Il rinnegato»), al magico destino che fa rivivere un destino di sangue antico (quello di Marco Laviano) al discendente Andrea Salinatore («Echi nella valle»). Dal delitto che insanguinò le sponde del fiume Agri che, in un Mezzogiorno mutato da processi di radicali cambiamenti (dighe ed energia elettrica), indica tracce di verità e di innocenze («Fantasmi che tornano»), alle parole dedicate all’amico d’infanzia che è scomparso troppo presto («Lettere a Michele e altri racconti»).
L’amico di Giuseppe Brancale, di cinque anni più giovane, si chiama Michele Di Gese. Ed è medico (specializzato in Medicina del lavoro), appassionato anch’egli di musica classica e letture. Soprattutto guide per il pensiero e la coscienza: come Carlo Levi, Ignazio Silone, Antonio Gramsci. Riferimenti per l’immaginazione che allarga lo sguardo sul mondo: come Faulkner, Steinbeck, Edgar Lee Masters, Ernest Hemingway. E quando Michele De Gese scompare nel 1975 (quattro anni prima dello stesso Brancale), alla giovane età di 45 anni, l’
amico Giuseppe “spedisce” la sua prima lettera. Missiva che poi fu seguita da altre. Su questi lavori Giuseppe Brancale risente della lettura di un mirabile testo di Hans Baumann: «Oro e dei del Perù» (Vallecchi, 1974). Ma è soprattutto la sua sensibilità di animo e di coscienza a guidarne la scrittura.
Come testimoniano alcuni pensieri rivelati ad amici scrittori, come Giuseppe Ricciardi e don Luigi Branco: «... esprimevi riserve sul mio credo religioso e chiedevi dei chiarimenti: don Luigi Branco fece la stessa cosa. Ho ben poco da dirti: io credo nel divenire dell’uomo e nel suo eterno nascere e morire...». Nelle «Lettere a Michele» sono proposti, nella prima parte, i racconti nelle loro stesure finali. Mentre, nella seconda parte, ci sono le stesure iniziali degli stessi scritti, insieme a brevi pagine, appunti, testi dettati o manoscritti. E anche quelle variazioni costituiscono un interessante elemento di riflessione sul prendere forma del lavoro di Giuseppe Brancale. Fu lui a leggere la prima versione di «Saka » proprio all’amico Michele Di Gese cui dedicò, dopo la sua scomparsa, l’opera (pubblicata per la prima volta, nel 1977, da Grafistampa). Un racconto («Caro Michele») che, via via, si è trasformato in romanzo epistolare.