Giacomo Puccini
Leggendaria, 01-09-2011, ––
«Vincerò» di Calaf. E col silenzio di Turandot, chiusa nella sua torre d’avorio. Algida e inaccessibile. È altrettanto noto che la vita di Puccini fu segnata dal mondo femminile. In primis la venerata madre Albina, rimasta vedova poco più che trentenne con 8 figli, sei dei quali femmine dai nomi stravaganti: Otilia, Tomaide, Nitteti, Iginia, Ramelde, Macrina, Temi. Poi ci fu Elvira, la moglie, già sposata con due figli, congiuntasi con grande scandalo al musicista allora ventiseienne e abitata da una gelosia (altamente fondata) che la portò a perseguitare una giovane cameriera Doria Manfredi, la quale, sconvolta dalle accuse, si suicidò gettandosi nel lago. Tanto che la madre della morta trascinò in tribunale Elvira facendola condannare. E sono notissimi i nomi delle sue amanti: Corinne la giovane torinese; Sybil, l’amica inglese (ma fu solo amica?); Josephine von Stangel, la baronessa austriaca per inseguire la quale Puccini non si fece fermare neppure dalla guerra; Rosa Ader il soprano per la quale scrisse la parte di Liù. Ma lasciò il segno anche a Torre del Lago dove la giovane ostessa Giulia Manfredi (stesso cognom
e dell’infelice cameriera) lo accompagnava nelle sue battute di caccia sul lago. Storie ufficiali, a tacere di quelle ignote, delle quali lui negava l’evidenza alla povera Elvira (altro destino in un nome, proprio quello della donna sedotta e abbandonata che insegue vanamente Don Giovanni, la più “rompigliosa” delle tre protagoniste del capolavoro mozartiano) la cui storia è veramente triste, tristissima. Altro che donne del melodramma! Isolata e insultata perché adultera, una vita all’ombra di un marito nevrotico, traditore e insofferente, macerata da un’impotente gelosia, finita anche in galera… Neppure tragica come le eroine messe in musica dal genio, ma solo bisbetica, importuna, umiliata. Le vicende personali di Puccini hanno fatto versare fiumi di inchiostro sul legame tra arte e vita, tanto che uno dei suoi più celebri biografi, Mosco Carner, sostenne che il maestro toscano fosse intimamente omosessuale e nel condannare a morte le sue protagoniste elaborasse in tal modo la sua incapacità di mettersi in relazione con il femminile. Mentre Daniele Martino colloca la cosiddetta “sindrome pucciniana” nel conflitto
«tra principio di piacere e principio di realtà, tra amore e colpa, tra amore e morte». E vede nel mancato finale di Turandot la conferma di questa impossibile conciliazione degli opposti. «Turandot e Liù sono i due supremi modelli di un’estetica del femminino che ha radici mitiche e contemporanee al tempo stesso… L’abnegazione di Liù, donna che riassume in sé tutte le virtù espianti delle colleghe precedenti, è l’unica condizione per il completamento della divina, bionica, androide (diremmo oggi) Turandot che al tempo stesso avrebbe dovuto divenire insieme dominatrice e dominata, madre e figlia, crudele e mite, frigida e sensuale… superwoman finalmente realizzata». La “guerrilla musicology” non ha ancora messo le mani direttamente sulla “sindrome pucciniana” anche perché si tratta di un filone di studi che si è molto sviluppato nei paesi anglosassoni, dove il peso simbolico del mondo pucciniano è stato per ovvie ragioni meno pervasivo, ma nel prossimo libro di Serena Guarracino c’è un capitolo dedicato proprio a Madama Butterfly. Siamo curiosissime.