Un maestro di nome Arnolfo
Il Giornale di Vicenza, 14-02-2006, Francesco Butturini
Martedì 14 Febbraio 2006

Firenze dedica allo scultore e architetto di Cambio la più grande mostra mai fatta, in un luogo magico
Le sue opere possiedono forza e delicatezza insieme

Fra guerre interne ed esterne, regionali ed europee, Firenze, dalla seconda metà del XIII al XV secolo diviene una delle due grandi capitali dell’occidente: popolosa come Parigi (100.000 abitanti), più grande di Londra, di Roma o di Venezia; con un reddito pubblico (oggi diremmo un P.I.L.) uguale a quello delle altre città messe insieme e un tessuto sociale dinamico (quanto litigioso), colto, internazionale.
In questa Firenze si inserisce Arnolfo di Cambio, arricchendo il patrimonio già ricco dei più immediati suoi predecessori che lo accolgono come allievo: Nicola Pisano lo chiama nel 1266 a lavorare con lui al pulpito del duomo di Siena. Non lo paga come un discepolo, ma come un maestro e Arnolfo era poco più che ventenne - se si accetta il 1245 come data della sua nascita.
Cala il silenzio dei documenti su Arnolfo fino al 1277, ma ci sono le opere a testimoniare la sua irresistibile ascesa: a Viterbo la Tomba di papa Adriano V, a Roma la Tomba del cardinale Annibaldi, opere sicuramente eseguite prima del 1276, che ci dicono che Arnolfo se n’è andato da Siena e lavora a Roma o nelle vicinanze nel contesto culturale romano dei Cosmati.
Il 10 settembre 1277, Carlo d’Angiò, signore di Napoli e senatore romano, acconsente alle richieste del Consiglio dei Savi di Perugia che intendevano proporre ad Arnolfo la sovrintendenza dei lavori per la Fontana Maggiore della città. L’opera, però, fu condotta dal suo maestro Nicolò Pisano insieme con il figlio Giovanni. Il perché si deve desumere dai troppi e troppo importanti lavori che Arnolfo compiva a Roma (la ristrutturazione della basilica di Santa Maria Maggiore) o per il suo signore (la statua di Carlo d’Angiò).
A Perugia Arnolfo lavorerà finalmente nel 1281 per quella fontana cui è stata recentemente dedicata la bella mostra perugina. Ma la città dei suoi impegni e delle commissioni per ora è sempre Roma: Monumento funebre del cardinale de Braye in San Domenico ad Orvieto(1282), il Ciborio nella basilica di San Paolo fuori le mura a Roma (1285); a seguire la Tomba per papa Onorio IV che gli aveva commissionato anche il Presepe per Santa Maria Maggiore e nel 1293 il Ciborio per la chiesa romana di Santa Cecilia in Trastevere. Al culmine della fama ecco farsi avanti la ricca Firenze: lo richiama in "patria" (era nato a Colle Val d’Elsa) e gli affida la ristrutturazione del duomo. Arnolfo ridisegna la piccola struttura di Sa
nta Riparata facendone la più grande basilica allora esistente in Occidente, e iniziandone la decorazione della parte bassa della facciata con un ricco complesso di statue di angeli e santi. Con tale soddisfazione da parte della municipalità committente che, con decreto del 1 aprile 1300, lo esonera vitanaturaldurante da qualsiasi imposta o tassa.

Papa Bonifacio VIII lo richiama a Roma per la realizzazione della sua Tomba nelle grotte vaticane. Arnolfo rientra presto in Firenze per completare la commissione del duomo interrotta dalla morte precoce avvenuta, probabilmente, l’8 marzo 1302, come attesta il necrologio di Santa Reparata.
A questo grande che inaugura quello che comunemente si chiama il primo rinascimento fiorentino che si arricchirà nei secoli accostando l’uno all’altro una sequenza di artisti come mai si erano visti e mai più si vedranno, Firenze dedica la più grande mostra mai fatta, che raccoglie un centinaio di opere, fra cui venticinque di Arnolfo e della sua bottega, disposte nel Museo dell’Opera del Duomo a formare un percorso unico per ricchezza di capolavori e completezza critica di riferimenti e di contesto. La mostra, «Arnolfo alle origini del Rinascimento fiorentino», ideata e curata da Enrica Neri Lusanna, trova già nel luogo dell’allestimento il primo carisma e la prima attrattiva: il Museo dell’opera del Duomo, infatti, custodisce una collezione senza pari raccogliendo i capolavori di Arnolfo, Andrea Pisano, Lorenzo Ghiberti, Luca della Robbia, Donatello, Michelangelo (che qui scolpì il David). Nei circa due secoli che vanno dalla posa della prima pietra del duomo nel 1296 ad opera, appunto di Arnolfo, alla posa della sfera di bronzo sul culmine della cupola di Brunelleschi, nel 1471 da parte di Andrea Verrocchio, si susseguirono ai lavori tutti i grandi del primo rinascimento e fra questi lavori il più prestigioso è senza dubbio l’Altare d’argento, frutto dei più grandi scultori e cesellatori fiorentini che, dal 1366 al 1483, vi lavorarono: da Leonardo di ser Giovanni a Michele di Monte e Cristofaro di Paolo, da Tommaso Ghiberti e Matteo di Giovanni a Bernardo Cennini, Antonio Pollaiolo, Verrocchio, Antonio di Salvi e Michelozzo.
Questa è la cornice.
In questa cornice cinque sezioni di mostra, di cui quattro espositive ed una quinta sezione dedicata ai restauri, alle indagini tecniche, e alla documentazione di allestimenti storici.
Nella prima sezione l’incontro con Arnolfo e la sua fortuna iconografica. A partire dal presunto ritratto eseguito da Giotto: in mostra, ovviamente, la fotografia dell’affresco con la Mor
te di san Francesco della cappella Bardi di Santa Croce. Seguono quindici ritratti di Arnolfo (caso singolare anche questo) da quelli settecenteschi di Giovan Battista Cecchi, a quelli ottocenteschi di Johann Anton Ramboux o il calco del monumento commemorativo del Duomo di Aristodemo Costoli o il modello al vero del ritratto di Reginaldo Bilancini.
Nella sezione seconda il percorso di Arnolfo prima di Firenze, e quindi i tempi e i lavori della sua prima formazione in quella cerchia dei Pisano che domina tutto il XIII secolo e lo supera: fra le quindici opere esposte, dominano sicuramente per la loro forza arcaica e moderna insieme le opere di Arnolfo: la grande (è alta 2 metri) statua del Monumento funerario di Carlo d’Angiò in cui il realismo romano antico del volto del signore si sposa con la solennità della veste e della posa; Donna con anfora, piccolo marmo di straordinaria modernità che richiama la vivacità e la freschezza delle fontana perugina; la scioltezza dell’Angelo incensante. Infine il calco del Presepe di Santa Maria Maggiore: quattro altorivilievi che anticipano di forza le future ricerche donatelliane e michelangiolesche.
Il culmine della mostra fiorentina è nella terza sezione dedicata alla facciata di Santa Maria del Fiore, disarmata nel 1587 per ordine di Ferdinando I de’ Medici e quindi dispersa. Le opere che vi appartenevano, come si può ricavare dalle iconografie del tempo (variamente documentate in mostra), sono per la prima volta riaccostate in una possibile (anche se difficile) visione d’insieme: dagli Accoliti acefali, all’Angelo adorante di destra e Angelo adorante di sinistra, dalla stupenda Madonna della Natività, adagiata al suolo con una infinita dolcezza, alla Madonna in trono con Bambino, dagli Angeli reggicorona, agli Apostoli.
Sono più di venti le statue e i frammenti che componevano il decoro della facciata andato disperso.
Infine la quarta sezione che rappresenta il contesto arnolfiano tra Roma e Firenze: con l’Annunciazione del Victoria and Albert Museum di Londra; la Madonna col Bambino del Walters Art Museum di Baltimora; la Maestà di collezione privata e via via le opere dei vari seguaci, più o meno diretti di Arnolfo: da Tino di Camaino, a Pietro di Giovanni Tedesco, da Giovanni di Giacomo a Grifo di Tancredi.
Vi troverete immersi in un ambiente magico per la ricchezza delle opere esposte, ma soprattutto per la forza e la delicatezza insieme delle stesse.
La mostra, che chiude il 21 aprile, è corredata da un catalogo, quanto la stessa monumentale (566 pagine), curato da Enrica Neri Lusanna ed edito da Pagliai Polistampa.