Quel che resta del sogno
Italianistica, 01-01-2011, Maiko Favaro
Strana sorte, quella di Penna. Riconosciuto come poeta di assoluta grandezza fin dalle sue prime prove poetiche, grazie all’entusiastico avallo di personalità autorevolissime quali Saba e Montale, l’inquieto autore perugino ha stentato però a ottenere un’attenzione critica proporzionata al valore della sua opera. Negli anni in cui terminava la parabola creativa ed esistenziale del poeta, Mengaldo poteva constatare che «nel complesso Penna è poeta assai più ammirato e amato – con punte di vero e proprio culto, anche acritico, che non studiato in concreto» – Poeti italiani del Novecento, a cura di P V Mengaldo, Milano, 1990 (I ed. 1978), pp. 734 – . Ancora oggi, nonostante già da tempo Garbali, con piglio deciso (e forse un po’ provocatorio), abbia definito Penna il più grande poeta del Novecento, si può affermare che molto resta ancora da fare nello studio di quest’autore. Al perdurare di tale situazione ha certo contribuito in maniera preponderante l’apparente ‘facilità’ della poesia di Penna, che con la sua veste di ‘spontaneità’ e di ‘naturalezza’ è sembrata rendere superflue le profonde e pazienti indagini che si dedicano ai grandi autori. È il mito della poesia penniana quale «fiore senza gambo visibile», secondo la bella immagine di Piero Bigongiari. Occorre però non farsi ingannare dalla souplesse di Penna, finendo per credere che la sua poesia sia ‘senza tempo’: un equivoco in cui sembra essere caduto lo stesso Saba, nel sottolineare continuamente la leggerezza e la fresca ingenuità del suo ‘protetto’ e nell’avvicinarlo ai poeti greci (come Archiloco e Meleagro di Gadara: si vedano le lettere VI e XV contenute in U. Saba, Lettere a Sandra Penna (1929-1940), a cura di R. Deidier, Milano, 1997). Altra causa fondamentale che ha ostacolato lo sviluppo della ricerca sul perugino è la mancanza a tutt’oggi di un’edizione critica dell’opera omnia penniana, come spiega E.G. in uno dei saggi compresi nel volume qui in esame (cfr Per l’edizione critica delle Opere di Sandra Penna, pp. 143-147). La studiosa lamenta che finora a Penna non sia stato neppure concesso l’onore di un «Meridiano».
Tuttavia, va detto che in questi ultimi anni la situazione degli studi penniani sembra indirizzarsi verso sviluppi interessanti. Si possono ricordare p. es. gli importanti volumi di Luigi Tassoni (L’angelo e il suo doppio. Sulla poesia di Sandro Penna, Bologna, 2004), di Daniela Marcheschi (Sandro Penna. Corpo, Tempo e Narratività, Roma, 2007) e di Roberto Deidier (Parole nascoste: le carte ritrovate dì Sandra Penna, Palermo, 2008). Nella cerchia di quanti hanno dedicato più energie e impegno allo studio dell’opera di Penna va annoverata pure E.G., che nel libro Quel che resta del sogno raccoglie dieci suoi saggi penniani, quasi tutti apparsi in riviste tra il 1989 e il 2009. Penna è ‘autore d’elezione’ della G., che ha cominciato a occuparsi di lui già a partire dalla tesi di laurea, preparata sotto la guida di Lanfranco Caretti, e ha poi continuato a dedicarsi in maniera costante agli studi sul poeta perugino, fino ad oggi. Una delle caratteristiche più tipiche dell’approccio critico di E, G. è l’attenzione dedicata alle ricerche d’archivio, che le hanno permesso fra l’altro di rinvenire testi poco noti. Così, la studiosa fornisce l’edizione di una lettera di Penna a Giuseppe De Robertis del 21 novembre 1957, rinvenuta presso il Gabinetto Vieusseux (Una lettera di Penna a De Robertis, pp. 19-30). Altri testi poco noti sono pubblicati nei saggi Una prosa lirica di Sandro Penna non compresa in Un po’ di febbre (pp. 95-108) e in Sandro Penna: sette recensioni su «L’Italia letteraria» (1932-1933) (pp. 109-126). In quest’ultimo studio, le recensioni penniane sono dedicate quasi tutte a raccolte liriche di infima qualità allora appena pubblicate: Penna non esita a evidenziare, spesso con sapida ironia, i limiti delle poesie recensite. L’unica eccezione è data da Isola, l’opera prima di Alfonso Gatto, della quale Penna riconosce prontamente il valore. Tale recensione è una testimonianza particolarmente interessante, considerando che Gatto sembra aver influenzato la poesia stessa di Penna: secondo Enzo Siciliano, Penna «catalizza la limpidezza enigmatica del giovane Gatto» (E. Siciliano, Penna e Pasolini, in L’Epifania del desiderio, a cura di R. Abbondanza, M. Terzetti, Perugia, 1992, pp. 156-159: p, 157; sui rapporti fra Penna e Gatto cfr. V. Paladino, La circular figura. Tra Penna e Gatto, «Otto/Novecento», XV, 1991, pp. 127-134). Sul versante bibliografico G. fornisce in un saggio apposito l’indicazione delle prime apparizioni, in rivista e/o in volume, delle poesie penniane: un’operazione molto utile sia per rintracciare tali poesie, sparse in numerose riviste, sia per collocarle cronologicamente (Prime stampe delle poesie di Penna, pp.
31-45).
La preziosa acribia di G. si rivolge anche all’esame del panorama critico su Penna in questi ultimi anni. Oltre al già ricordato Per l’edizione critica delle Opere di Sandro Penna, G. fornisce una scrupolosa bibliografia ragionata per gli anni 1990-1996 (Breve rassegna di studi su Sandrao Penna (1990-1996), pp. 127-134); in La musa pensante. A trent’anni dalla morte di Sandro Penna (pp. 135-141), G. ricorda e discute alcuni dei libri più importanti su Penna, soffermandosi in particolare su quelli apparsi fra il 1990 e il 2007. Specialmente interessante è la riflessione di G. sul recente e molto stimolante libro di Daniela Marcheschi (Sandro Penna. Corpo, Tempo e Narratività, cit.), del quale vengono apprezzati vari elementi, quali: lo scandaglio del rapporto fra Penna e gli autori classici della letteratura, della poesia e del pensiero filosofico moderno, soprattutto Leopardi e Nietzsche: il riconoscimento del «carattere unitario che assume in Penna il racconto breve a fronte dell’ espressione lirica, di taglio sempre rapido, lirico o narrativo che sia»: l’efficace declinazione del motivo del corpo e della corporeità nella poesia penniana per parlare dell’ eros; la proposta di un’«idea nuova di temporalità» che permette di superare la tesi della ‘poesia senza tempo’ in voga presso la critica penniana del passato. G. si dichiara invece scettica a proposito delle notazioni di Marcheschi sul ruolo della memoria nella poesia di Penna. Secondo G., «l’appello al ricordo che Penna fa all’atto di scrivere i suoi versi che certamente sono ogni volta in modo variato eppure simile, l’atto immediato e la traduzione concreta di un’esperienza sensoriale vissuta quasi sempre tra il sonno e la veglia [...] è sempre frutto del qui e ora come dato immediato dell’esperienza esistenziale. Le sensazioni in Penna vincono ogni logica di pensiero che è durata. sistema di connessioni, conoscenza. Prevale la scheggia luminosa, non il quadro leggibile di una situazione composta di parti collegate tra loro» (p. 140).
Quando affronta questioni di carattere più propriamente esegetico, G. mostra significativi punti di sintonia con gli orientamenti della critica penniana oggi prevalenti. Nell’introduzione alla già ricordata lettera di Penna a De Robertis, G. mette molto opportunamente in evidenza come De Robertis ravvisi in Penna «un artista consapevole» (cfr. p. 21). La studiosa trova in De Robertis una linea interpretativa diversa rispetto a quella -a lungo dominante propugnata già nel 1939 da Sergio Solmi, il quale coglieva invece nella spontaneità irriflessa la caratteristica tipica del poeta perugino. G. può quindi additare nelle parole di De Robertis una delle prime e autorevolissime critiche a un’idea della poesia penniana come «senza tempo», «fiore senza gambo». Nel saggio più lungo e impegnato dal punto di vista interpretativo (Sul primo Penna, pp. 47-94), G. si sofferma nel dettaglio sulla raccolta di Poesie del 1939, la prima che Penna affidò alle stampe, con ampia risonanza presso il pubblico letterario. Fra le qualità di questo saggio, quella più notevole mi sembra la squisita finezza di analisi che la studiosa dedica all’interpretazione delle singole poesie. P. es., mi sembra che G. colga molto acutamente nel segno quando, nel commentare la celeberrima poesia iniziale La vita... é ricordarsi di un risveglio, evidenzia che «Il canto della vita da Penna levato con tanta sensibilità si delinea quale manifestazione di un infinito desiderio di vivere e non, piuttosto, come traduzione sulla pagina di una vitalità vissuta davvero» (p. 71). L’esercizio di analisi ravvicinata delle singole liriche penniane ha avuto i suoi cultori in questi ultimi anni: si può segnalare al proposito lo smilzo volumetto “La vita... è ricordarsi di un risveglio”, Letture penniane, Atti del Convegno (Roma, 30 maggio 2007), a cura di J. Butcher e M. Vigilante, Roma, 2007. G. mette in luce l’organizzazione ‘narrativa’ con cui, nello sdipanarsi della raccolta, Penna rappresenta i propri stati d’animo. Stati d’animo che trascolorano, fra il ‘dolore’ e il ‘godimento’, nel segno di un’impalpabile ambiguità di fondo. L’antinomia è racchiusa nella poesia iniziale, vero e proprio ‘dittico’ in cui, all’iniziale senso di prigionia nell’interiorità descritto nella prima strofa, risponde vibrante il «ma» della seconda strofa con la «liberazione improvvisa» offerta dalla vista di un giovane marinaio e del paesaggio che si allarga in «un mare tutto fresco di colore». Questo oscillare fra i due poli trova espressione nella ciclicità temporale della raccolta: «Il tempo in Poesie del ‘39 è ciclico, avendo una connotazione meteorologica anziché cronologica: è scandito dalle stagioni in prevalenza intermedie come l’autunno e,
soprattutto, la primavera che vale da simbolo di rinascita sensualmente vitale. Poi vengono i momenti della giornata: albe, mezzogiorni, tramonti, ma specialmente le notti che insieme alla primavera simboleggiano l’esperienza d’eros e amore» (pp. 58’59). Del resto, proprio sulla ciclicità hanno insistito Piero Bigongiari e il suo allievo Luigi Tassom per rintracciare perfino un’idea di canzoniere nell’opera penniana. Da questo punto di vista, Bigongiari ha assimilato la soluzione penniana a quella petrarchesca: per lui, quello di Penna è un «[...]canzoniere ciclico – quale quello petrarchesco in cui si ha un perpetuo ritorno dell’uguale nell’emblema figurale; non parabolico quale quello di ascendenza sabiana che diversifica narrativamente, spingendoli sempre oltre, l’uno contiguo all’altro i propri punti d’arrivo» (P. Bigongiari, Il cerchio dei .frammenti di Sandro Penna, in L’Epifania del desiderio, cit., pp. 124-133: p. 128; l’altro riferimento è a L. Tassoni, L’angelo e il suo doppio, cit.). G. propone un’interpretazione del mondo poetico penniano incentrata sulla continua scissione fra il poeta e la realtà: è qui che la studiosa identifica il cuore della sua poetica (su questo punto, cfr. soprattutto il saggio Una prosa lirica di Sandra Penna, cit.). Penna è un poeta che ha paura del mondo adulto, cerca di sottrarsi allo struggle for life rifugiandosi nella dimensione del sogno, nell’anelito a un mondo ‘superiore’, senza più difficoltà. G. dà molto rilievo ai celebri versi penniani «Io vivere vorrei addormentato, entro il dolce rumore della vita». Le sue osservazioni sembrano ricollegarsi alla fondamentale intuizione debenedettiana di Penna come poeta della «vacanza» dalla realtà. Da un punto di vista teorico, la studiosa afferma l’opportunità di non astrarre troppo lo studio dell’opera penniana da quello della biografia del poeta. In polemica con i terroristici diktat sulla separazione fra ‘autore’ e·‘opera’, G. difende il ricorso intelligente alla biografia di Penna per contribuire a spiegare i caratteri del suo mondo poetico. Si tratta in particolare di un’attenzione alla psicologia dell’autore, fondata su quanto si può dedurre dai documenti a nostra disposizione. Dopo un breve saggio sui rapporti tra Penna e Montale (Montale e Penna 1939: la danza degli opposti, pp. 149-158), G. termina il volume con un suo studio inedito sulla tarda raccolta penniana Stranezze -Quel che resta del sogno. Rileggendo l’ultimo Penna di Stranezze (1957-1966), pp. 159-165. G. mette in evidenza l’atmosfera di angoscia esistenziale che permea la raccolta (sensibilmente più oppressiva che nelle raccolte precedenti), ma è attenta nel valorizzare anche i segnali che non si lasciano ridurre al tono dominante. È, ancora una volta, la ‘duplicità’ di Penna, il quale non rinuncia del tutto all’«aspetto fresco e assai leggero, sognante [...], favoloso, ed anche allegro, pienamente gioioso» tanto importante nel suo mondo poetico (p. 163).
Vorrei ricordare anche i suggestivi accostamenti che G. propone tra Penna e alcuni protagonisti della letteratura e dell’arte nel Novecento italiano. P. es., la studiosa suggerisce un parallelo tra Penna e Campana, autore dalla sensibilità «segnata a più riprese da un disagio della psiche cui si sposa [...] una prorompente e lampeggiante ansia di sogno, l’unica capace ancora una volta di lenire e sublimare la pulsione nascosta nel tarlo della follia umana» (p. 165): in particolare, G. accosta la poesia onirica delle Stranezze a quella dei Canti Orfici. La studiosa instaura un parallelo anche con la pittura di Filippo De Pisis, rispetto alla quale «a pensarci bene, la poesia di Penna funziona quasi da traduzione» (p. 139). Già Luciano Anceschi, d’altronde, nei suoi Saggi di poetica e poesia, avvicinava la poesia di Penna alla pittura di De Pisis. Sarebbe in effetti interessante approfondire il rapporto fra i due artisti (ricordo che una lettera di De Pisis a Penna si può leggere in «Il Caffè Illustrato», VIII, 41, marzo-aprile 2008). De Pisis è un pittore che sembra fornire preziosi stimoli ai letterati novecenteschi: basti pensare al Montale delle Occasioni, con la sua celebre poesia Alla maniera di Filippo De Pisis [...]. Ciò sarà tanto più vero nel caso di Penna poeta che (come Montale) ebbe radicati interessi per la pittura – fu anche mercante d’arte – e che condivise con De Pisis l’attenzione per la tematica omosessuale. Sui rapporti di Penna con i pittori del suo tempo, in particolare con il siciliano Nunzio Sciavarrello, si veda ora anche N. Mula, Penna Multimediale. Tragitti e orizzonti per un centenario ed oltre in L’inquietudine del vivere. Sandro Penna, la sua ‘fortuna’ all’estero e la poesia del xx secolo, a cura di P. Bruni e N. De Giovanni, Cosenza, 2007, in part. pp. 158-161.