L’arte a tavola
La Repubblica, 06-04-2011, Giuseppe Calabrese
Tano è un ragazzo di Sicilia. «Della Sicilia greca, quella semplice. Del resto dell’isola non conosco quasi niente». È nato a Lentini, in provincia di Siracusa, ma da cinquant’anni gira l’Europa inseguendo il bello. Roma, Firenze, Germania, Danimarca, Francia, ora la Spagna, in Catalogna. Tano Pisano, sessantaquattro anni, vive lì, a due passi dal mare. Dipinge e cucina, le sue grandi passioni. Non c’è un solco nella sua vita, fornelli e pennelli sono l’espressione di un unico io, di uno stesso sentimento. «Sono un artigiano, non un artista. Di artisti ne nascono tre o quattro in un secolo. Dipingere è una necessità, cucinare è una passione». È tornato a Firenze con una personale (da oggi al 20 aprile) all’Accademia delle Arti del Disegno, il tema è il mondo marino e i suoi abitanti, i “Peix”, che è anche il titolo della mostra. «La pittura è tutta la mia vita. Ho guardato, imparato, ascoltato. La cucina è un’ arte minore, non puoi fare drammaturgia o melodramma. L’unica cosa drammatica che ti può capitare ai fornelli è bruciare tutto. Però cucinare per gli altri mi dà gioia, pienezza». In Danimarca aveva un ristorante, il Den Gule C
ottage, il cottage giallo, poco fuori Copenaghen. «È un monumento nazionale, un vecchio stabilimento per la villeggiatura che è bruciato – racconta –. L’unica cosa rimasta in piedi era questa casina gialla che ho risistemato e trasformato in un piccolo ristorante, solo ventiquattro posti e due o tre piatti al giorno. Venire a cena lì era come venire a cena a casa mia». Anche la regina di Danimarca ci andava, affascinata da questo signore curioso e imprevedibile, capace di conquistarti con un carciofo. «La prima volta che li ho serviti i clienti sono rimasti per qualche minuto a guardarli, non sapevano cosa fossero». Dipingeva e cucinava. Professore di belle arti, chef di belle speranze. «In Danimarca sono stato una specie di missionario. Non si trovava niente di italiano, più facile racimolare qualcosa di mediterraneo o di francese. La mia era una cucina sperimentale». Oggi è vicino di casa di Ferran Adrià, lo chef che con i suoi esperimenti ha cambiato il modo di cucinare. «L’ho conosciuto e sono stato a cena da lui. Ma Ferran più che un cuoco è un chimico. La sua è una cucina che sorprende, a me piace una cucina di sapori». Ora Tano si è messo in testa di spiegare agli spagnoli come mangiare la r
icotta. «In Spagna la mangiano soltanto con il miele, come dolce». Per questo ha scritto un libro che uscirà a ottobre, si intitola “Ricotta e ricotta”. Una sorta di manuale con le istruzioni per l’uso. «Continuo a sperimentare. Ci vuole tecnica per essere un bravo artigiano, senza la tecnica non puoi fare niente. E questo vale nella pittura come in cucina». Nella mostra fiorentina sono esposti anche alcuni piatti in porcellana decorati che Tano usava nel suo ristorante. E tante volte l’ispirazione nasce proprio in cucina, lì dove sapienza e passione si mescolano alla fantasia. «L’arte, come la cucina, deve essere popolare, alla portata di tutti. La mia più grande soddisfazione è quando la gente capisce le mie opere. Gli intellettuali non mi piacciono, si sentono una classe superiore e distorcono tutto. L’arte è immediata, comunica sensazioni. Proprio come un buon piatto». È il suo mondo che ritorna. Un confine indefinito dove tutto trova una sua dimensione, dove si mescolano colori e odori. Sapori. Senza barocchismi, senza troppi orpelli, senza concettualismi. «Morandi è stato il mio maestro spirituale» dice presentando la sua mostra. Tra acquerelli di gamberi, sardine, sgombri e barattoli di acciughe.