Arnolfo, la leggerezza del marmo
Il Messaggero, 30-01-2006, Fabio Isman
ANNIVERSARI

Ha lavorato, spesso eternandoli nel marmo, per tutti i più potenti della sua epoca: dai reali angioini della Sicilia (e senatori a Roma, cioè reggitori laici), ai Papi Martino IV de Brie e Bonifacio VIII Caetani, fino ai cardinali e ad altri notabili; in due basiliche dell’Urbe, San Paolo e Santa Cecilia, ha lasciato dei cibori tanto innovativi, e subito celebrati, da meritarsi, pochissimi anni dopo, una citazione esplicita nei dipinti di Giotto ad Assisi; nel massimo tempio cristiano, gli viene affidata la statua di Pietro: il fondatore della Chiesa. E ancora: suoi sono, a Firenze, la prima facciata di Santa Maria del Fiore, il rifacimento di Santa Croce, e tradizionalmente, anche la torre di Palazzo Vecchio. Insomma, Arnolfo di Cambio vanta un curriculum senza eguali: degno dei sogni, certamente irrealizzabili, dei massimi architetti odierni, i Piano e i Meier; o dei più grandi scultori, a nessuno dei quali mai verrebbe affidato un intero edificio. Così, è assai giusto celebrarlo, a sette secoli dalla morte (quantunque se ne ignorino le date di nascita, attorno al 1240, e della sua dipartita: un 8 marzo, tra il 1302 e il 1310): come ha già fatto l’Umbria (Perugia e Orvieto),
riscoprendone ciò che resta d’una celebre fontana e un sepolcro dei più belli; e ora fa Firenze, con una mostra aperta fino al 21 aprile nel Museo dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Arnolfo, alle origini del Rinascimento fiorentino , curata da Enrica Neri Lusanna e dedicata ad Angiola Maria Romanini, la compienta studiosa che ad Arnolfo ha destinato lunghi studi (catalogo Pagliai Polistampa, 567 pag., 60 euro).
Dagli esordi, con belle opere di Nicola Pisano che gli fu riconosciuto maestro, ai periodi umbro e romano, con dei lacerti della fonte perugina, il monumento a Carlo d’Angiò, e il Presepe di Santa Maria Maggiore (ma è un calco), fino alla statua di Bonifacio VIII vivente (per cui finì sotto processo); alla stagione fiorentina. La sua facciata per il Duomo è eretta fino a mezza altezza (testimonia un affresco del 1342), ma poi abbattuta nel 1586. Ne restano commoventi sculture ( Angeli , la Madonna della Natività , un Annuncio ai Pastori ); una Madonna in trono col Bambino ; e l’epigrafe di fondazione, con nome e data, tuttavia carica di dilemmi. Ma tentare di ricostruire come fosse quell’opera interrotta, costituisce un avvincente esercizio. Quanto s’è salvato, è finito anche
lontano: nel Massachussets, a Berlino, forse a Londra. E la ricomposizione di parecchi frammenti è tra i meriti della mostra. Adesso, possiamo immaginarci quella facciata, con una Dormitio Verginis , e un immenso Bonifacio in trono di quasi tre metri, due dei cui Accoliti che gli erano accanto (anch’essi più alti del naturale) sono stati restaurati per l’occasione. Un calco sostituisce invece la Dormitio , troppo fragile per poter viaggiare: acquistata a inizio Novecento dal Kaiser-Friedrich Museum, a maggio 1945 era nel deposito della Flakturm di Berlino, che due volte va misteriosamente a fuoco, e così si compie una devastazione d’arte tra le più terribili. Il marmo arnolfiano finisce nell’Urss; dal ’58 a Berlino Est; e soltanto nel 1984 torna finalmente ad essere visibile, e viene restaurato.
Le ultime due sezioni della mostra sono votate all’eredità che Arnolfo lascia nel secolo successivo al suo (anche con opere di Giotto), e alla sua fortuna iconografica; i primi ritratti si devono ancora a Giotto e ad Andrea Bonaiuti: a Santa Maria Novella, ce lo racconta bellissimo, giovane, con i biondi e lunghi capelli annodati in un treccione. Anche in questo, un precursore, non è forse vero?