Un sentimento risorgimentale
Caffè Michelangiolo, 01-09-2009, Danilo Breschi
Definirei questo libro di Genziana Ghelli un esperimento riuscito di combinazione di generi e registri letterari. Altra definizione che fosse univoca risulterebbe impossibile. Questo perché abbiamo a che fare con il resoconto di una ricerca genealogica che ha qualcosa pure dell’indagine poliziesca, a sua volta combinata con i frammenti di un romanzo psicologico che non disdegna affatto di affacciarsi sulla storia risorgimentale, e in particolare sulle ragioni di scelte tutt’altro che scontate come quelle dei garibaldini e più in generale dei “repubblicani”. Se proprio si dovesse trovare una definizione per questo libro, vale quella scelta dalla stessa autrice: «storia romanzata di una ricerca». Il libro infatti, attraverso l’espediente di una narrazione che alterna prima e terza persona, dialoghi e “flussi di coscienza”, ricostruisce l’effettiva discendenza di Giannina Repubblica Fadigati, detta “la Garibaldina”, nata nel 1868 da Palmira Visioli e Paolo Fadigati. O almeno così parrebbe. La leggenda, o quel che l’autrice intende smascherare come tale, perpetuata fino ad oggi, ci ha sempre detto che in realtà Repubblica era la figlia nata dalla fugace relazione tra Giuseppe Garibaldi e una bella filatrice di Casalmaggiore, piccola cittadina in provincia di Cremona. Paolo Fadigati, ufficiale garibaldino, aveva sposato questa giovane ragazza, di nome Palmira, per adottarne la figlia, e accondiscendere così al desiderio dell’Eroe dei due mondi. Altre versioni non parlano di matrimonio, dal momento che Fadigati e Palmira erano già sposati prima della nascita di Repubblica, che dunque sarebbe stata figlia di un’anonima filatrice di umili origini. In ogni caso si sarebbe tra
ttato di un atto di fedeltà e devozione di un gentiluomo nei confronti del proprio condottiero che, pur sorprendente e ammirevole, non è niente a confronto con quanto l’autrice ha sospettato e il suo alter ego letterario, Nora, nome ibseniano scelto forse non a caso, svela con piglio e arguzia da detective. La verità sarebbe dunque quella di una Repubblica figlia di Garibaldi e della moglie di Fadigati, il quale non semplicemente acconsentì ma chiese espressamente al proprio generale nonché mito vivente di potergli fare dono di un figlio. Sì, l’auspicio ovviamente era quello: avere un figlio maschio che potesse far scorrere nelle proprie vene sangue garibaldino così da perpetuare nel nome di Fadigati le gesta di un eroe che doveva portare a termine un’impresa per cui una singola vita umana non sarebbe mai stata sufficiente. Merito di Genziana Ghelli, che ha la competenza professionale di una psicologa clinica e psicoterapeuta di formazione internazionale, ma anche una sapienza di scrittura elegante e avvincente, è quello di trattare con grazia e di rendere con pathos il dramma di una vicenda familiare che oscilla fra grandi slanci politici e piccole ma dolorosissime incomprensioni tra madre e figlia. Dal racconto emerge con forza la figura paterna, che per Repubblica Fadigati pare essere felicemente accettata come doppia – e questo Ghelli propone al lettore affidandosi al documento, romanzando solo alcune lacune d’archivio ma soprattutto le introspezioni dei personaggi storici trattati, cercando di intuirne i possibili pensieri e sogni. Non è chiaro se mai ella seppe, ma è certo che si tratta di una figura che vale la pena recuperare anche alla più severa ricostruzione storiografica, dato ch
e Repubblica Fadigati è da annoverarsi di diritto tra i personaggi più interessanti della femminilità politicamente impegnata nella storia del Regno d’Italia. Altro merito di questo libro consiste nel mettere in luce la dimensione eroica che anima l’idea romantica di nazione quale comunità di devoti chiamati ad aderire con forza e sprezzo del pericolo ad una sorta di religione della patria, che non si può dire compiuta dopo il 1861 e nemmeno dopo il 1870. Resterà appunto la questione istituzionale, il sogno della Repubblica. E il nome per quella figlia di Garibaldi, frutto della passione patriottica e del romanticismo più estremo, sembra come l’assegnazione di un destino con tutto ciò che di tragico, nel senso greco classico, esso comporta. A ricordare il ruolo svolto dalla cultura dell’eroismo nella costruzione sia del patriottismo risorgimentale prima dell’Unità, sia del repubblicanesimo postmazziniano e di altre correnti politico-ideologiche alternative all’esistente nel cinquantennio successivo, valgano le parole che l’autrice mette in bocca alla nostra eroina: «Del resto, a che serve una vita, se non hai alcun motivo per il quale tu sia disposto a perderla? Non riesco ad immaginarmi come un essere umano possa spendere anni, alzandosi ogni mattino solo per respirare, mangiare, copulare, defecare e poi morire. Meglio non nascere affatto, vero, caro Padre?». Questo libro ci racconta pertanto di un tempo che coincise con la nascita e il consolidamento del nostro Stato-nazione, in cui i sentimenti, fossero essi filiali o patriottici, bruciavano nelle stesse vene fondendosi nello stesso sangue che veniva versato per la patria come se si fosse trattato davvero del proprio padre.