L’ideologia di slow Food
Darwin, 01-05-2010, Giuseppe Regalzi
Tra critiche anticonsumistiche e promesse di una rivoluzione alimentare
«Il fatto che un movimento come Slow Food – ideologicamente antiprogressista, antiscientifico, idolatra delle società tradizionali, delle piccole comunità stratificate e perenni, dedite a riti e festività atavici, in cui il posto di ognuno è eternamente fisso […] – possa essere oggi considerato, in Italia, di sinistra, è cosa che ci sembra debba generare più di qualche preoccupazione in chiunque abbia a cuore le sorti del nostro paese». È questa preoccupazione che ha spinto Luca Simonetti, avvocato esperto di diritto commerciale, a dedicare la sua prima, brillante «sortita fuori dalle materie giuridiche» all’associazione fondata da Carlo Petrini nel 1986, che oggi conta circa 100.000 iscritti e sedi in sette paesi diversi. Le accuse di Simonetti sono circostanziate: Slow Food (SF) diffida della scienza in quanto «riduzionista», «quantitativa» e alleata del «produttivismo», anche se poi ne adotta acriticamente teorie cadute ormai in discredito, magari per giunta distorcendole, come nel caso dei food miles, espressione con cui si indica l’impatto ambientale degli alimenti, che per SF devono essere consumati il più vicino possibile al luogo di produzione; anche se si può dimostrare che un viaggio di 10 km per acquistare un chilo di prodotti freschi genera più emissioni di anidride carbonica del trasp
orto aereo di un chilo dal Kenia. La preferenza per tutto ciò che è «locale» può condurre a buffe prese di posizione, come quando SF difende i peperoni di Asti, «ben inseriti negli ecosistemi originali», contro l’invasione dei peperoni olandesi, dimenticando che il peperone è originario dell’America. Inutile dire che SF rifiuta categoricamente gli Ogm, con ragioni pretestuose che si riducono in sostanza alla loro pretesa «innaturalità», di nuovo dimenticando che ad essere innaturale, da circa 10.000 anni, è l’intera pratica dell’agricoltura. Simonetti mette bene in luce le analogie di SF con il pensiero reazionario: si pensi alla negazione dell’idea di progresso, alla condanna della velocità e dell’«adorazione della macchina», alla credenza che le riforme «morali» siano le uniche efficaci. In molti casi le analogie, anche verbali, con teorici dell’antimodernità come Ruskin e Carlyle sono impressionanti. Ma ciò che più sgomenta è la sostanziale indifferenza – al di là dei proclami – per la sorte degli affamati. SF propugna l’abbandono dell’agricoltura industriale in favore di pratiche tradizionali, che comporterebbero il crollo della produzione (o una catastrofica estensione delle superfici coltivate), a beneficio esclusivo di un’élite di consumatori abbienti (si noti che SF impone ai suoi produttori convenzionat
i vincoli alle quantità prodotte, con ovvie conseguenze sui prezzi). Com’è possibile che tutto ciò passi per essere «di sinistra», ovvero in qualche modo progressista? Simonetti evidenzia le analogie di SF con i movimenti controculturali degli anni ’60 e ’70: al «Sistema», che imporrebbe un’omogeneizzazione del gusto, il consumatore ribelle risponde con «un atto politico rivoluzionario», cioè con il ritorno alla spontaneità e alla genuinità. Peccato che – e qui Simonetti applica al caso di SF le intuizioni di sociologi come Veblen e Bourdieu – «il consumismo è trainato non dal desiderio di uniformità, ma da quello di distinzione»; e il consumo non standard conferisce appunto distinzione. Cos’è allora SF? È un’impresa commerciale che ha individuato una ben precisa nicchia di mercato: quella costituita da «un pubblico che, oltre ad essere abbiente, si sente in colpa per il fatto di esser tale, e vuole così fare qualcosa per lenire questo disagio». Questo pubblico di professionisti «di sinistra» viene attirato con la critica anticonsumistica e con la vaga promessa di una rivoluzione mondiale dei consumi alimentari; promessa che, come si è visto, non è che la maschera ideologica di una realtà innominabile di consumi di lusso. Ed è nel solco illustre di altri smascheramenti di ideologie che questo libro si pone.