In prigione
Le Carte e la Storia , 01-07-2010, Daniela Manetti
Il conte Alamanno Agostini Veronesi della Seta fu, come non pochi altri nobili benestantie colti italiani, sensibile al fascino della cultura romantica, alle idee patriottiche, liberali e nazionali che animarono la prima fase del Risorgimento, scossa dai fermenti delle società segrete. La sera del 4 settembre 1833,assieme al cognato e ai cugini, il conte fu arrestato. Con quella retata finirono in carcere numerosi esponenti del mondo intellettuale toscano, dai fiorentini Vincenzo Salvagnoli e Leopoldo Pini ai pisani Angiolo Angiolini e Giuseppe Menici, ai livornesi Carlo Bini e Francesco Domenico Guerrazzi, ma anche pistoiesi e senesi. Come spiega bene Barsanti, la deten
zione costituì  una misura preventiva e l’incarcerazione, non sostenuta da prove certe e nemmeno seguita da un processo, era volta ad acquisire mezzi probatori attraverso severi interrogatori, l’isolamento e sfibranti condizioni di segregazione. Secondo la polizia granducale, Alamanno Agostini – gonfaloniere della comunità di Bagni San Giuliano, dal 1830 camerlengo del comune di Pisa, personaggio in vista del mondo universitario della città – sarebbe stato uno dei capi del liberalismo toscano. Trasferito prima nella Fortezza Vecchia di Livorno e poi al Forte Stella nell’isola d’Elba, dove rimase fino alla liberazione
il 18dicembre di quell’anno,  restò per tutto il tempo in isolamento, senza conoscere i capi d’accusa, interrogato una sola volta dallo stesso inquisitore del processo contro Piero Maroncelli, Silvio Pellico egli altri carbonari del Lombardo-Veneto nel 1821. L’idea di redigere un diario della prigionia venne in mente ad Alamanno proprio dalla lettura de Le mie prigioni di Pellico, pubblicate a Torino nel 1832. Il diario, rimasto inedito fino a oggi, ci restituisce il senso di smarrimento e disperazione che colpiva i detenuti e ci fa comprendere di quali sentimenti e sofferenza si nutrisse il Risorgimento nei suoi aspetti non retorici ed enfatici.