Il Bargello, il suo inventore. E i suoi mecenati
Corriere fiorentino, 05-03-2010, Wanda Lattes Nirenstein
Un signore distinto, non bello, colto e cortese, che ama il colletto alto, il baffo arricciato, le ghette, la cravatta a plastron, che sarebbe un ottimo pittore, ma preferisce la vita severa da funzionario dello Stato, al fine di portare avanti, nel giro di una ventina di anni, la trasformazione di una confusa catasta di oggetti in uno dei musei più famosi del mondo.
Questo è il personaggio, Igino Benvenuto Supino, non famoso ma importante, che viene celebrato da una divertente mostra, Il metodo e il talento, aperta al Bargello fino al 6 giugno, per cura di Beatrice Paolozzi Strozzi, Silvia Balloni e Ilaria Ciseri. Il Bargello, antico ufficio di governo, polizia, galera e sede del patibolo, fu riscoperto quale monumento nazionale soltanto dopo l’Unità d’Italia, e quando qui si ritrovarono preziose vestigia, si aprì una gara tra benefattori ambi
ziosi per donare cose bellissime o brutte. Alla fine dell’800 i grandi spazi del Palazzo mescolavano, con i capolavori di un Donatello, vecchi trofei domestici, cristalli, statuette o ricami dal valore provinciale. Tutti doni, frutto di buona volontà, ma non selezionati. Arrivò da Pisa il quarantenne dottor Igino Benvenuto Supino, autori di importanti studi di storia dell’arte, e artista lui stesso, e in pochi anni riesce a trasformare in gran museo, perfetto, inappuntabile e ordinato quel Bargello, diventato tappa preziosa dell’amatore d’arte, prima di andare ad insegnare all’università di Bologna, dove tra gli altri lo invita Giovanni Pascoli. La mostra, sorretta dagli Amici del Bargello, ordina materiale stimolante e divertente, tra documenti e dipinti, accompagnata da un bel filmato che racconta la storia del distinto, sapiente signor
e ebreo, che tra gli altri meriti ebbe la costanza di aprire la città, che già ospitava grandi intelligenze, a nuove sensibilità internazionali. Tra i suoi amici e sostenitori, c’era anche un’elite di ebrei generosi e colti, come Philipson, gli Orvieto, i Treves, i Franchetti, gli Ambron, i d’Ancona, scrittori, editori, medici, scienziati, tutta gente impegnata che, come lo stesso nostro eroe del Bargello, fu poi spietatamente colpita dalle leggi razziali del 1938. La mostra è un amichevole invito alla riflessione sul costume di un uomo colto e di gusto, ma anche sullo slancio di un’intera epoca che vedeva la città, rinnovata e ripulita con coraggio, prediletta da tutto l’Occidente ambizioso, conquistare e difendere uno specifico ruolo di eleganza internazionale accanto alle capitali europee, quali Parigi, Londra, Berlino.