L’imperfetto assoluto
Arte e Arti, 18-02-2010, Roberto Mariotti
A distanza di alcuni mesi dalla sua uscita in libreria, il grande successo ottenuto dall’ultima pubblicazione di Riccardo Nencini, “L’imperfetto assoluto” edito da Mauro Pagliai, conferma le notevoli capacità narrative del Presidente del Consiglio della Regione Toscana. Mi trovo d’accordo con Franco Cardini che nella prefazione al testo, lo ha definito “il libro di un uomo che, se non si fosse dedicato alla carriera politica avrebbe voluto e potuto essere anche storico, scrittore e magari un po’ bandito”. Grande studioso e profondo conoscitore della storia medievale, Nencini si è cimentato con successo in un romanzo storico di ampio respiro dove narra fedelmente quel che avvenne a Firenze e in Toscana tra la fine del 1300 – più precisamente a partire dalla battaglia di Campaldino tra guelfi e ghibellini - e l’avvio del periodo avignonese dei papi (1309). Ricorrendo all’espediente del manoscritto ritrovato (che poi nel corso della narrazione si scopre essere reale) tipico del genere letterario affrontato, l’autore ricostruisce una
Firenze ancora lontana dai fasti rinascimentali “una città non ancora meravigliosa (...) ma che ha saputo collegare la mercatura con le banche e la manifattura” e che rappresentava la patria del capitalismo finanziario dell’epoca grazie alla supremazia del fiorino. Protagonista della narrazione è Musciatto dè Franzesi, già citato da Boccaccio in una novella del Decamerone, figlio di un masnadiero di Figline Valdarno e garzone di banca in gioventù, che ben presto diventa un grande mercante e banchiere internazionale. Trasferitosi da Firenze a Parigi, giungerà poi alla corte del del re di Francia Filippo IV il Bello dove verrà nominato consigliere di suo fratello, Carlo di Valois. “Il romanzo che ripercorre le gesta di Musciatto mi è costato – ricorda Nencini – sette anni di ricerche tra Firenze e Parigi e un anno di scrittura ma adesso mi sta dando molte soddisfazioni”. Ma le avventurose vicende di Musciatto si intrecciano inevitabilmente con eventi che segnarono quell’epoca storica, quali l’esilio di Dante, lo s
chiaffo di Anagni, l’attacco ai Templari, la guerra civile che insanguinò Firenze e il rientro di Corso Donati, il genio di Giotto e di Arnolfo. E proprio le vicissitudini personali del protagonista si intrecciano con quelle del Sommo poeta che nel libro viene raffigurato in una veste insolita, non viene celebrato cioè per le sue grandi doti artistiche, ma al contrario descritto come un uomo di potere e di pochi scrupoli, un reietto carico di rancori, che ha perso tutto ed è stato tradito da Firenze. Per concludere ancora con le parole di Cardini “Nencini dimostra di possedere la stoffa e diciamo così la ‘tempra’ dello storico: ha coscienza precisa che la realtà storica non coincide mai con la realtà obiettiva e che quest’ultima è destinata a rimanere inattingibile (...). Il buon romanzo storico è quello nel quale il metallo puro e incandescente della fantasia riesce, fuso, a penetrare perfettamente negli interstizi e nelle fenditure della ‘realtà’ storica, saldandosi con essa ma senza con essa confondersi”.