La musa sotto i portici
Italian Quarterly, 01-04-2007, Letizia Modena
Di uno dei luoghi più semanticamente ricchi della vita italiana, il caffè, si potevano fino a questo momento leggere solo numerose monografie storiche (soprattutto sui caffè letterari) o varie rievocazioni nostalgiche di cafè prediletti usciti dalla reminiscenza autobiografica. La presenza dei caffè nella letteratura, con la grande eccezione di questo cronotopo nel teatro goldoniano, era invece marcata, fino all’ottimo testo di Stefano Giannini, La musa sotto i portici, da una sorprendente scarsezza di studi. La musa sotto i portici compie un primo fondamentale passo in quest’ambito e analizza il topos del caffè come presenza nella narrativa di Piero Chiara (1913-1986), tra le cui opere ricordiamo Il piatto piange (1962), I giovedì della signora Giulia (1962), L’uovo al cianuro (1969) e Lucio Mastronardi (1930-1979), noto soprattutto per la trilogia Il calzolaio di Vigevano (1962), Il maestro di Vigevano (1962) e Il meridionale di Vigevano (1964). Narratori della provincia (di Varese e Luino per Chiara, e di Vigevano per Mastronardi) attivi soprattutto nel decennio del miracolo economico, i due autori scelgono il caffè come centro prospettico d’osservazione della vita cittadina e della socio-psicologia del decennio Sessanta. Elemento funzionale dell’opera, il caffè diventa in più di un senso “musa” ispiratrice.
Il testo di Giannini si rivela già dall’Introduzione (che ripercorre il ruolo del caffè nella storia, dalla sua nascita alla metà del Seicento al presente) molto ricco d’informazioni e di supporto bibliografico, eppure al contempo limpido ed agile alla lettura. Spazio neutro e democraticamente accessibile a tutti, zona franca e magnetica d’aggregazione, di scambio di notizie e di lettura di giornali, il caffè della grande città divenne presto uno dei luoghi principali per la circolazione delle idee (quando non apertamente officina di programmi sociali), e centro del fermento culturale italiano. Lo studio di Giannini si sofferma però in particolare sul caffè ai margini, quello estraneo alle grandi correnti di pensiero politico o letterario che attraversavano i maggiori centri urbani: il caffè di provincia, prospiciente la piazza principale, luogo di trasmissione, edificazione e rifrazione di storie, osservatorio, laboratorio e vetrina della piccola borghesia locale. Una delle riflessioni più interessanti della sezione è quella sulla provincia come categoria s
ociologica, e sulle conseguenze dell’ambientazione provinciale in Chiara e Mastronardi.
Nel Primo Capitolo Giannini ricostruisce, partendo dagli esordi letterari, la crescita umana e professionale di Chiara, descrivendo con vivacità l’apprendistato affabulatiorio del narratore, assiduo frequentatore dei caffè di Luino, autentica “palestra di retorica” e di studio della personalità umana. L’apoteosi del caffè sarà raggiunta nelle pagine del primo romanzo di Chiara, Il piatto piange. Spazio della diegesi, il caffè per Chiara diverrà il luogo in cui confrontare passioni e sentimenti con la topografia culturale della mentalità provinciale. Questo capitolo limpidamente mette in luce il valore del caffè come arena che sprigiona la passione per la parola, un’espressività che Giannini analizza anche dal punto di vista retorico, come attraverso l’affiancamento dei sottili ed astuti giocatori di carte del caffè di Chiara all’homo facetus del De Sermone di Pontano. Dall’altra parte, Giannini richiama in relazione a Chiara la tradizione illuminista del caffè come spazio di formazione e istruzione, spazio aggregativo franco, spesso di dissenso politico e resistenza critica, in cui si allentano temporaneamente le differenze sociali tra gli avventori (spesso nell’accanimento del gioco delle carte – anche d’azzardo – altro topos analizzato estesamente). Lucido e preciso il dialogismo che Giannini mette in luce tra le opere di Chiara e Il fu Mattia Pascal di Pirandello, partendo dal cronotopo del caffè come luogo di formazione e problematizzazione identitaria, ma estendendosi ben oltre.
Il Secondo Capitolo di La musa sotto i portici propone un’analisi tanto accurata quanto originale delle opere di Chiara portando in primo piano il ruolo del caffè come “scrigno della memoria,” e la riflessione – anche metaletteraria – a cui Chiara conduce sul rapporto tra fatto e finzione. Nella creazione di una mitologia di provincia, il caffè è il luogo che sollecita la rievocazione delle vicende del paese. Come la memoria, è il luogo del meccanismo combinatorio, del processo organizzante che elabora nuovi aggregati misti di ricordo ed oblio, verità ed invenzione. Tra le pagine più suggestive di questa sezione, quelle che ricordano il rapporto tra Chiara e l’amico e concittadino Vittorio Sereni, e che conducono ad una riflessione sul nesso rivisi
tazione autobiografica vs. fantasia creativa in Chiara.
Il Terzo Capitolo sposta l’attenzione da Luino a Vigevano, da Chiara a Mastronardi, dal caffè della consolazione a quella della disperazione: quello di Mastronardi infatti è il caffè di una crassa e avara società neoindustriale, il luogo fisico e psicologico in cui alienati anti-eroi piccolo-borghesi cercano un irraggiungibile equilibrio, in una provincia – quella degli anni del boom  economico – tutta attratta dal magnetismo del successo economico, e in realtà vilipesa da un egoismo disperato. Di fronte all’aridità dei rapporti famigliari e di lavoro, Mastronardi rileva nel caffè lo spazio di un ultimo tentativo d’affermazione personale, di gratificazione, spazio illusoriamente alternativo alla quotidianità frustrante. Se in Chiara il caffè era il luogo in cui l’arguzia verbale nobilitava e sbiadiva le differenze di classe, in Mastronardi la rivendicazione gerarchica esperita nella società di “industrialotti” si ripete nello spazio del caffè, spesso palcoscenico dell’ostentazione.
Il Quarto Capitolo presenta una fine riflessione sul Maestro di Vigevano. La chiave del capitolo è l’intertestualità che Giannini svela chiaramente tra l’opera di Mastronardi e Il mio Carso di Slataper da una parte, e l’opera di Moravia dall’altra. Questa ultima suggestione letteraria, e le analogie che Giannini stabilisce con il Maestro, permette un affondo illuminante nel senso del romanzo.
Il testo critico di Giannini colpisce per l’eleganza espressiva e per la ricchezza del materiale e degli spunti di riflessione contenuti. Il cronotopo del caffè, di cui questo testo svela così sapientemente la pregnanza semantica, si offre come una finestra attraverso la quale Gianini sottilmente rinnova nel lettore il piacere di accostarsi ai lavori di Chiara e Mastronard, al loro ritratto del mondo provinciale lombardo, in un decennio di trasformazioni, per gustarne i sagaci profili psicologici, e forse soprattutto per la coloritura dei dialetti e l’indimenticabile verve oratoria degli attanti. C’è allora anche un livello sensoriale, soprattutto uditivo e visivo, che viene soddisfatto alla lettura di La musa, perché non poche sono le pagine in cui sembra veramente di aver varcato la soglia d’entrata di uno di questi cari, indimenticabili caffè di provincia in cui tutti riconosciamo qualcosa di noi.