Cartoline della miseria fiorentina
Metropoli, 28-04-2009, Jacopo Nesti
Anche se grondano di piscio e di merda le sue parole sono una fonte sorgiva per chi abbia sete di realtà. Ovviamente filtrata dalla sensibilità di un occhio che la reinterpreta nel suo sguardo, e la ridipinge secondo i colori che sente dentro. In questo, Emiliano Gucci sembra davvero un acquerellista en plein air che gira curioso per la città, pronto a sfoderare album e pennelli alla prima occasione, alla prima cartolina che i suoi occhi immaginano di cogliere. Per nostra fortuna queste cartoline, con i soggetti che la sua mano registra non avrebbero mercato al Piazzale o di fianco al Duomo, che in una visione onirica immagina sostituito da un misero water, forse sublimazione dell’ansia di un’intera città, sempre sprovvista nelmomento del “bisogno”. Nelle sue istantanee ci sono esattamente gli scarti, ciò che la nostra società cerca di non mostrare, di occultare alla coscienza prima che alla vista: i barboni sudici della stazione, i senegalesi con boutique a mano, i mendicanti sdraiati sui marciapiedi, i romeni ubriachi e gli ubriaconi italiani, gli spacciatori di bufale elettroniche e transessuali spacciatori di piacere a buon mercato ai carrieristi griffati, che nel segr
eto di una stamberga comprano ciò che fuori ripudiano. È evidente come simili cartoline stonino, facciano cattiva pubblicità alla città museo. Del resto, non sarebbero neppure comprese dai turisti: senza la consueta iconografia fiorentina di viste, palazzi e monumenti farebbero fatica a ritrovare in quegli scorci malfamati e degradati la Firenze dei depliant turistici, delle riviste patinate di arte e fashion. Là dentro non c’è il Rinascimento da esportazione. Anche tanti fiorentini, sebbene ormai ci convivano, non riconoscono più la loro città in quelle cartoline, e vorrebbero volentieri non vederle, girarsi dall’altra parte come alcuni fanno di consueto quando la incontrano per strada, quando chiede l’elemosina per terra o l’acquisto di calzini di spugna dentroun bar. I tanti fantasmi della nostra indifferenza a Emiliano Gucci non chiedono però solo qualche soldo quando lo incrociano per la via. Nei loro occhi lui avverte un’altra richiesta ben più importante, reclamano la loro esistenza, quel diritto di cittadinanza che molti gli negano e soltanto le parole di uno scrittore-testimone possono restituirgli. Da qui il suo bisogno di soffer
marsi, guardarsi intorno e raccontare ciò che vede, invece che affrettare il passo con l’alibi del ritardo, del lavoro, o di qualsiasi altro tipo che abbiamo imparato a costruirci per assolvere la nostra inerzia. Da questo suo attardarsi, indugiare con lo sguardo e un po’ anche con il cuore, nascono i 27 racconti brevi che compongono Firenze carogna (Mauro Pagliai Editore, 96 pagine, 7 euro). Sono appunto altrettante cartoline della Firenze marginale di cui parlavamo sopra. Dentro di loro si respira una forte tensione morale, è palpabile la voglia dell’autore di risarcire almeno sulla pagina ciò che la città, l’ignoranza e la miseria tolgono alla dignità dei suoi sfortunati protagonisti. E l’unico risarcimento possibile sta appunto nella parziale sottrazione dal limbo in cui sopravvivono, nel restituire a queste ombre un nome e una storia a cui aggrapparsi per raccontare il loro abisso e trovare così un po’ di autentica comprensione. Il racconto che presentiamo si intitola Appunti dalla pausa pranzo al bordello ed è un’incursione nella vita tragica e disperata di un trans che vende sesso e perdizione appunto nella pausa pranzo dei suoi clienti.