La musa sotto i portici
Polis Quotidiano, 18-03-2009, Armando Orlando
Il caffè luogo di storie e letteratura nella narrativa di Piero Chiara e Lucio Mastronardi Ero a Pisa, una decina d’anni fa, sotto ad un sole che spaccava le pietre e sbuffavo perché avrei dovuto attendere un’ora di più il mio treno. I soliti disagi ferroviari a effetto domino. Mi misi a sedere su una panchina rassegnato all’attesa. Fui raggiunto da una coppia di pensionati bloccati in stazione, come me. Ex bidello di scuola media lui, casalinga lei. Gente di Luino, simpatica e gioviale. Finimmo a parlare di Piero Chiara e non poteva essere altrimenti.
La casalinga, una donna che girava poco intorno alle cose, disse che a suo modo di vedere “Chiara era un gran pettegolo e un lazzarone”. Uno che sapeva tenere la penna in mano certo, ma solo per gettare in piazza i fatti degli altri. Vicende riservate giunte “pure al cinematografo e in televisione”. Per venti minuti buoni la donna mi fece l’elenco di chi aveva sofferto per causa dello scrittore, enumerando sette otto famiglie e circa il settanta percento della produzione di Piero Chiara, tracciando la cartina dei casi che avavano fatto discutere i luinesi negli ultimi cinquant’anni: la realtà che si nascondeva sott
o la letteratura in bocca a quella donna assumeva forme familiari. La vicina di casa, la parente di quel certo amico di famiglia, fino ad arrivare ai “signori” inavvicinabili e misteriosi, nel chiuso delle ville recintate traboccanti di verde.
“Io – aggiunse il marito ad un certo punto – glielo dicevo sempre che doveva darci un taglio una buona volta e mi ricordo l’avvocato Salvi – il padre di Francesco, il comico, sa? – che gli dava tanti scapaccioni sulla testa prima di avviarsi al biliardo. ‘La devi smettere’, diceva, e poi andava ridendo a giocare”. Dove accadeva tutto questo? Al caffè, che Chiara frequentava e che era luogo di confronto e scontro – non l’unico ovviamente – nella Luino abitata dallo scrittore.
L’aneddoto – forse non un gran che – mi è tornato a galla leggendo La musa sotto i portici, un saggio, piacevole come un romanzo ben scritto, di Stefano Giannini, che è professore alla Syracuse University dello stato di New York. Studioso di letteratura italiana moderna, proprio al ruolo del caffè di provincia in Chiara e Lucio Mastronardi (l’autore del Maestro di Vigevano), Giannini ha dedicato
un’opera che è una ricerca nel nostro passato di popolo che ha eletto ad agorà – a piazza come luogo di discussione – uno spazio pubblico, un luogo franco dove parlare senza fronzoli e, soprattutto, senza restare ingabbiati nelle barriere sociali che condizionano la nostra vita abituale. Un porto dove l’unico dazio da pagare è l’esiguo prezzo della bavanda più ricercata e dove ogni opinione è bene accetta purché supportata da validi argomenti, peraltro passati al vaglio della discussione. Dove altro, sennò, un bidello avrebbe potuto cantarle ad uno scrittore famoso?
E se il caffè trova la sua “apoteosi nell’opera di Chiara” che lo elegge a scuola – letteraria, di vita, umana – e lo connota di significati positivi, lo stesso, scrive Giannini, non avviene in Mastronardi. Il caffè di Mastronardi “è al tempo stesso valvola di sfogo e laboratorio di produzione di nuovi attacchi verso quella società crassa neo-industriale che calpesta ogni credo dello scrittore”. Al tempo stesso è il luogo fisico dove l’autore incontra e si scontra con gli esponenti di quell mondo gretto e avaro.