Chiara e Mastronardi Inni ai gloriosi caffè della provincia italiana
Libero News, 18-04-2009, Mario Bernardi Guardi
Saggio di Giannini
Cultura | Mario Bernardi GuardiIl caffè? Tra gli spazi di aggregazione della modernità ha senza dubbio un ruolo preminente. Al caffè si trova rifugio da noie e affanni quotidiani, si parla e si sparla, si svelano le corna degli altri e ogni tanto le proprie, si fanno circolare idee e informazioni, si giocano interminabili partite a carte e a biliardo, si esplora l’universo, ci si interroga su Dio. È un’antica, nobile tradizione. Risale a metà Settecento: ecco Gaspare Gozzi che nella bottega del caffè trova un antidoto alla malinconia; ecco Carlo Goldoni che considera piazze e caffè veneziani come il «gran teatro del mondo», una vera e propria scuola di vita a cui riservare spazio nella commedia riformata. Nell’Ottocento, il “Progresso” di Torino, il “Cecchina” di Milano, il “Florian” di Venezia, il “Pedrocchi” di Padova sono pieni di patrioti che complottano e di spie che offrono loro il caffè; nel Novecento, dalle fiorentine “Giubbe Rosse” al milanese &ldquo
;Savini”, è tutto un fiorire di locali dove le avanguardie si riuniscono per creare, discutere, litigare, buttar giù bozze di programmi e manifesti. Ora, nota Stefano Giannini (La Musa sotto i portici. Caffè e provincia nella narrativa di Piero Chiara e Lucio Mastronardi, Mauro Pagliai Editore, pp. 236, euro 18), è il caffè di provincia, «affacciato sulla piazza principale», quello « che ha suscitato il maggiore interesse e dato i maggiori frutti tra gli scrittori”. Tanti i nomi: Pirandello, Moravia, Delfini, Brancati, Bianciardi: e tuttavia l’immagine del caffè di provincia come luogo eletto e prediletto è forte soprattutto in Piero Chiara (Il piatto piange, Il cappotto di astrakan, La spartizione) e in Mastronardi (Il calzolaio di Vigevano, Il maestro di Vigevano, Il meridionale di Vigevano). Da Luino a Vigevano il caffè è ospitale, favorisce la socializzazione, è aperto ai più svariati tipi: il notaio in pausa di lavoro, il rampollo di buona famiglia, il politico locale, il contadino appena arrivato in citt&agra
ve; per il mercato settimanale. Ogni tanto, comunque, la vita si dà una mossa, e rovescia sul capo qualche tegola, di quelle che fanno un male cane. Dopodichè si va al caffè, per raccontare quello che ci è successo, sperando che in giro non ci siano già troppe versioni dei fatti che ci sputtanino irrimediabilmente. In ogni caso, anche di fronte a un dramma o a un delitto, Piero Chiara (nella foto), fine e sorridente conoscitore delle umane miserie come il suo amato Casanova, abbozza. Così vogliono le liturgie del caffè: dapprima l’enfatizzazione, magari la deformazione caricaturale e grottesca; poi la levità ironica e il ritorno all’umana misura. Del resto, tutto passa e resta ,“decantato” e eterno, come l’acqua del lago. Ben più amaro Mastronardi: «Nec tecum nec sine te vivere possum» (non posso vivere con te né senza di te), grida, dalle profondità del suo malessere di intellettuale-proletario, alla Vigevano gretta e avara. Andarsene? Ci mancherebbe! Anche stasera tutti al caffè, a giocare a scopa!