L’identità mai dimenticata del Partito d’Azione
Metropoli, 28-10-2008, Jacopo Nesti
Un libro del professor Paolo Bagnoli per riflettere sull’eredità lasciata alla democrazia italianaLa farfalla ha vita breve, ma la sua bellezza può essere folgorante. Per questo potremmo usarla come metafora del Partito d’Azione, che nel volgere di pochi anni seppe esprimere una forte identità politica, capace di attrarre numerose personalità di alto spessore intellettuale e di incidere in maniera significativa sul processo formativo della democrazia italiana. Per riflettere sull’eredità lasciata alla democrazia italiana, sulle sue idee e valori abbiamo interpellato il professor Paolo Bagnoli, il quale nel suo ultimo libro, L’Italia del novecento: cultura civile e impegno politico (edito da Polistampa, 256 pagine, € 18), dedica un’intera parte alle figure storiche più importanti di quell’esperienza. Il Partito d’Azione fu un’esperienza limitata alla resistenza e si sciolse nel 1947, dopo essere riuscita anche ad ottenere nel 1945 la Presidenza del Consiglio con Ferruccio Parri. Oltre alle ragioni storiche, ci sono anche dei motivi riconducibili alla dimensione ideologica ad aver impedito il formarsi di un partito vero? «Per quanto riguarda le idee del Partito d’Azione, mi sembra che la storia abbia dimostrato che fossero vere, al di là dell’esperienza storica concreta, in quanto hanno posto l’attenzione su una serie di nodi irrisolti dello sviluppo democratico italiano che poi la vicenda nazionale mi pare abbia confermato. Nell’immediato dopoguerra, nonostante il grande contributo degli azionisti alla lotta per la riconquista della libertà e per la nascita della democrazia, presero campo culture politiche che erano in qualche maniera già consolidate nella vita del paese. Ci fu la grande esplosione del movimento cattolico che nessuno si aspettava, almeno nei termini in cui avvenne, e poi la sinistra si riorganizzò nella presenza, in un primo momento maggioritaria, dei socialisti e dei comunisti. Quindi mancò, diciamo così, uno spazio innovativo, un elemento di rottura che era invece il punto di partenza degli azionisti». Volendo tratteggiare i caratteri peculiari dell’azionismo, inteso come cultura politica, lei come li definirebbe? «C’è una posizione critica rispetto al modo con cui si era compiuta la vicenda nazionale risorgimentale, che aveva impedito la nascita di uno stato finalmente moderno, cioè uno stato in cui l&r
squo;adesione dei cittadini al processo nazionale fosse segnata da una laicità fortemente liberale, legata allo specifico italiano, e non sorretta da visioni universalistiche, quali erano quelle presentate sia dai cattolici democratici che dai comunisti». Qual è il grande portato dell’Azionismo che ancora oggi potrebbe essere utile per lo sviluppo della società italiana? «Io credo che nella formula stessa in cui si raccoglie il messaggio politico del Partito d’Azione, vale a dire la rivoluzione democratica, resiste ancora oggi. Cioè l’Italia è l’unico grande paese europeo che non ha mai avuto una rivoluzione, anzi ne ha avuta una all’incontrario che fu appunto l’affermazione del fascismo, ovvero la “vittoria” di una rivoluzione che non era certo progressista, ma era reazionaria e dittatoriale. Mentre i paesi che hanno avuto degli strappi di questo tipo, quindi delle rotture e delle ricostruzioni palingenetiche hanno operato sul piano della modernità, della laicità, dell’autonomia dei cittadini rispetto allo stato, quindi c’è uno spirito di cittadinanza molto più elevato di quanto non si registri nella società italiana». La società italiana, nelle sue strutture politiche- dirigenziali, non si è ancora liberata delle tare che ne hanno impedito uno sviluppo pienamente democratico. Secondo lei qual è quella più perniciosa? «In democrazia, nella politica, credo sia quella di ritenere che le istituzioni possano essere dei corpi esterni, avulsi dalla vita del paese. Ma anche che ci siano formule risolutive, come degli uomini che sono talmente bravi e decisivi da poter risolvere da soli i nostri problemi. L’Italia è un Paese affascinato dalle grandi personalità, certo la politica se è interpretata da grandi personalità è più forte, ma poi come diceva Machiavelli, “alla libertà bisogna tenerci le mani sopra”». Uno dei grandi temi dell’azionismo è il rapporto fra cultura civile e impegno politico. In Italia anche su questo fronte stiamo assistendo in questi anni ad alcuni fenomeni deteriori come per esempio l’affermarsi di un certo populismo, tanto a destra come a sinistra… «Mi sembra proprio di sì. L’Italia, da diversi lustri, sta vivendo una crisi profonda del proprio sistema politico e anche della propria capacità di propulsione
democratica. Per cui assistiamo ad una politica che è ridotta soltanto alla sfera gestionale del potere, da cui deriva anche lo scadimento della categoria dell’impegno politico, talvolta finalizzato all’interesse personale o al bieco carrierismo politico. Oltre a questo, la cultura civile non è che sia assente, ma mi sembra abbastanza silente rispetto a quello che abbiamo assistito nel nostro paese. L’Italia ha avuto sicuramente nella sua storia problemi particolari, ma ha sempre visto anche una cultura civile di alto livello e di grande capacità propositiva un po’ in tutti gli schieramenti politici, un tratto presente nel mondo laico come in quello socialista, nel mondo cattolico e fra i comunisti: insomma era un dato caratteristico di questa nostra situazione. Attualmente invece mi sembra ci sia più disimpegno e amarezza da parte degli intellettuali che non l’impegno e la voglia di coltivare una rinascita della cultura civile». Nella seconda parte del suo volume affronta alcune figure di rilievo del movimento azionista, tutti intellettuali che avevano la capacità di mettersi al servizio della causa nazionale. Oggi l’impegno degli intellettuali diventa un po’ più problematico perché sfuma in tantissime forme senza però arrivare ad una forza perentoria come poteva essere quella degli azionisti da lei citati. «Norberto Bobbio ha definito il Partito d’Azione, il partito degli intellettuali e quindi in questo ci può essere anche una limitazione nella natura stessa del partito, ma sicuramente fu partito che rappresentò un alto livello intellettuale, molto variegato e diversificato. Quello che io cerco di portare all’attenzione del lettore, nella seconda parte del mio libro, sono le esperienze di alcune persone tutte diverse fra loro, unite dalla comune militanza nel Partito d’Azione. Erano anche degli intellettuali che svolgevano un forte esercizio critico e portavano questo esercizio nell’impegno della politica, cercando di metterlo a servizio di idee che ritenevano giuste per la modernizzazione e il rafforzamento della democrazia in Italia. Anche se fortemente impegnati, non erano però dei politici di professione. Facevano altre cose, ma accanto a queste si impegnavano in prima persona, a cominciare dall’opposizione al fascismo e alla lotta per migliorare il Paese. Sempre seguendo con convinzione le proprie idee, ma senza sottrarsi al confronto democratico».