Storie del Premio Viareggio
L’Immaginazione, 01-04-2008, Luca Canali
Non era facile trasformare gli “annali” del Premio Letterario Viareggio-Leonida Repaci, folto di giurati di alto prestigio culturale (quali il francesista Giovanni Macchia, gli italianisti Natalino Sapegno, Giacomo Debenedetti, Rosanna Bettarini, lo storico Rosario Villari, critici e saggisti come Geno Pampaloni, Cesare Garboli, Pier Vincenzo Mengaldo, Franco Antonicelli, scrittori e poeti quali Mario Luzi, Giorgio Caproni, Giovanni Raboni, Giovanni Giudici, Natalia Ginzburg, Paolo Volponi, Enzo Siciliano, Giorgio Saviane), in un racconto capace di avvincere il lettore come un romanzo. Ma Gabriella Sobrino, poetessa e scrittrice, anglista e traduttrice, oltre che giurato anch’essa e appassionata segretaria del Premio, ci è perfettamente riuscita, scrivendo questo robusto volume, ampia e puntuale testimonianza, ma anche “spaccato” della cultura italiana nel suo complesso: infatti queste pagine, che partono dall’ingresso della Sobrino nel Premio, cioè nel 1964, e arrivano nel 2004, attraverso le cinque sezione di esso (narrativa, poesia, saggistica, opera prima, premio internazionale) costituiscono un oggettivo ma anche partecipe resoconto delle discussioni, spesso conflittuali, e a volte vicine al litigio anche duro, che investono l’intera gamma delle attività culturali e spesso anche gli scottanti problemi social
i, politici e ideali che a mano a mano affioravano oppure prepotentemente si ponevano nella complessa realtà della società nazionale dell’ultimo cinquantennio.
Gabriella Sobrino – non so se segretamente oppure con comprensibile riservatezza – ha fissato nei suoi appunti registrati arricchiti da flash personali, e numerose foto intercalate al testo, vincitori e vinti, oltre che i giurati, con i loro tic, malumori, simpatie o antipatie, e persino garbatamente l’eleganza o la trascuratezza del loro abbigliamento: insomma ha scritto, come dicevo, un romanzo con decine di personaggi in movimento e in azione, quasi tutti ben noti anche ad un vasto pubblico.
I contrasti di giudizio sui libro in concorso, alle volte si arroventavano con la conseguenza di dimissioni date e respinte, o accettate ma poi ritirate, in una sorta di balletto di schieramenti o di duelli fra giurati: ad esempio, le dimissioni date per ben due volte da Giovanni Raboni, prima per contrastare un duro giudizio sull’opera prima poetica Medicamenta e altri medicamenti di Patrizia Valduga, poi per uno scontro critico con il sempre rigoroso, ma a volte aspro, Cesare Garboli. Un ampio spazio è dato anche alla contesa fra l’allora presidente del Premio, lo storico autorevole ma autoritario, Rosario Villari, e un gruppo di giurati, fra i qual
i la stessa Sobrino, concluso con le dimissioni di Villari e la successione al suo posto di Cesare Garboli. Ma vi sono passaggi narrativi di forte impatto emotivo: ad esempio il desolato ultimo saluto di Franco Antonicelli, gravemente malato, a Gabriella Sobrino appena un mese prima della sua morte; o la telefonata di Primo Levi, tormentato da una misteriosa e sopravvenuta incapacità di scrivere, così preoccupante da indurre la Sobrino a decidere di raggiungere Levi due giorni dopo; troppo tardi: Primo Levi si era ucciso il giorno prima. Bellissime le pagine meste ma sobrie, dedicate alla morte di Cesare Garboli, che fino all’ultimo, aiutato da Gabriella volle fissare il calendario delle riunioni nell’imminenza dell’assegnazione del premio; e, senza alcuna concessione al patetismo, l’orazione funebre nella chiesa degli artisti in Piazza del Popolo, pronunciata dall’amico di giovinezza di Garboli, Vittorio Sermonti.
Forse dopo aver letto questo libro, si potrà tentare di essere meno severi nei confronti della decadenza di molti degli attuali premi letterari, ma esigendo nel contempo che siano corretti i complicati giochi di scuderia che tendono a spostare sul terreno mercantile, o di semplice prestigio editoriale, quella che invece dovrebbe essere l’esclusiva ed onesta valutazione dei valori letterari in campo.