E sulla tavola dei Seicento si gustò il pomodoro
La Nazione, 05-01-2005, ––
FIRENZE. Fu colui che sottrasse il pomodoro dai decori della tavola per farne pietanza ed arricchire il gusto dei cibi, il suo nome era Antonio Latini, di professione scalco, cioè primo chef nelle corti papaline e principesche del Seicento, ed il suo trattato, intitolato “Lo scalco alla moderna” rappresenta l’ ultimo esito della grande tradizione gastronomica rinascimentale italiana prima del trionfo della grande cuisine francese che per anni avrebbe dominato sulla cultura della tavola. Oggi, quel trattato considerato da storici e gastronomi una rarità preziosa, è stato ristampato in 500 copie, per i tipi di Polistampa, in assoluta fedeltà formale e testuale, su iniziativa di uno dei più noti ristoratori fiorentini, Torello Latini (l’omonimia del cognome è solo casuale) che custodisce l’originale nella cantina del suo locale in mezzo a bottiglie di vini d’annata, e di due suoi amici, lo storico Zeffiro Ciuffoletti e l’enologo di fama mondiale Giacomo Tachis.
I due tomi scritti dal Latini, che furono stampati per la prima volta a Napoli nel 1694, rappresentano, come sottolinea lo storico Ciuffoletti, «una sorta di compendio di tutta la let
teratura precedente, dagli esordi della gastronomia umanistica ai trattati maggiori dell’età rinascimentale». Il primo tomo è suddiviso in diciotto capitoli nei quali si tratta della dignità dello scalco e dei compiti che spettano ai suoi dipendenti, specie al trinciante, con un’appendice di liste di vivande. Vi si tratta inoltre del modo di cuocere le carni di quadrupedi e volatili, domestici e selvatici; dei bolliti; delle minestre e zuppe; del modo di fare bocconcini e brodi; degli arrosti e dei frutti; dei pasticci; dei piatti composti; delle crostate e delle pizze; delle salse e dei sapori; degli aromi e dei profumi; degli aceti; delle conserve di frutta; dei trionfi da porre sulle tavole in occasione dei grandi conviti. Il primo tomo contiene inoltre la descrizione dei vari e sontuosi banchetti allestiti dal Latini in varie occasioni.
Il secondo tomo è invece interamente riservato alle vivande di magro. E’ suddiviso in ventitrè capitoli nei quali si tratta del modo di bollire, di arrostire, di friggere pesci; di fare minestre di magro; del latte e dei suoi derivati; di insalate e gelatine di pesce; del cucinare senza spezie esotiche preferen
do a queste gli odori mediterranei fino ad allora banditi dalle tavole ricche.
Lo scalco Latini, marchigiano, che iniziò la sua carriera nei palazzi dei Barberini, a Roma, per poi passare ai Colonna e quindi a Napoli al servizio del Regente Cariglio, cavaliere spagnolo primo pari del Regno di Napoli, oltre ad essere stato il primo in Italia a proporre l’uso del pomodoro non più solo quale addobbo o decoro della tavola ma come ingrediente fondamentale per ricette particolari, fu anche il primo a compiere il tentativo di passare da una cucina elaborata dai profumi e gusti forti ad una cucina più semplice e più legata ai profumi ed agli odori della terra ed alle tradizioni regionali. Alle spezie esotiche Latini cercò infatti di sostituire pian piano i delicati odori degli orti mediterranei: il prezzemolo, la maggiorana, il basilico, la mentuccia, lo zafferano ed altri “aromi” più nostrani. Scelte che, come sottolinea Ciuffoletti «rappresentavano un paesaggio importante che ebbe ulteriori sviluppi nel Settecento con la cosidetta “cucina pitagorica”, una sorta di curiosa proposta di dieta vegetariana dove abbondavano le verdure e le zuppe».