Renzo Manetti, lo Sherlock Holmes dell’arte perduta
La Nazione, 07-05-2008, Michele Brancale
La ricerca del dipinto perduto di Leonardo, ‘La battaglia di Anghiari’, sotto il grande affresco del Vasari nel Salone dei Cinquecento è qualcosa di «affascinante e da tentare, anche se probabilmente non è rimasto quasi nulla di quanto Leonardo aveva fatto. Altrimenti Vasari non lo avrebbe coperto». Parla Renzo Manetti, architetto e scrittore fiorentino, studioso attento di Leonardo e della Firenze esoterica.Lei ha dedicato molti dei suoi studi a Leonardo Da Vinci. Chi è Monna Lisa? «Non certo la moglie di Francesco del Giocondo, il cui ritratto è perduto o forse nascosto negli strati più antichi della Gioconda del Louvre, ma un’allegoria filosofica di quell’entità che Dante aveva chiamato Beatrice e Petrarca Laura. Si tratta di un’immagine dell’Intelletto, dell’essenza spirituale di Leonardo, che dimostrava quanto egli scriveva e cioè che il pittore era in grado di rappresentare concetti ideali con maggior efficacia del poe
ta. La genesi del dipinto è da cercare nel cenacolo filosofico che si riuniva presso Giuliano dei Medici, come Leonardo stesso ebbe a raccontare. Su questo argomento sto preparando un saggio, che ritengo possa aggiungere convincenti prove a quanto ho scritto fin qui».Nella sua architettura Firenze nasconde dei messaggi. Lei ha decifrato quello della basilica di San Miniato. Qual è? «Gli edifici sacri venivano costruiti utilizzando le stesse misure e proporzioni che la ragione individuava nell’universo. Così, radicati nella terra ma modellati sul cosmo, essi diventavano simbolicamente luoghi di passaggio fra terra e cielo, fra la dimensione della materia e quella dello spirito. San Miniato, le cui proporzioni geometriche compongono una sinfonia musicale analoga a quella delle sfere celesti, è una porta del cielo, come recita anche un’iscrizione sul gradino d’ingresso».Un’altra sua scoperta è legata a una sorta di confraternita: i ‘fedeli d’amore
’. Chi sono? «La Vita Nuova di Dante è un’opera che, dietro l’apparenza della poesia d’amore, nasconde profonde allegorie filosofiche e teologiche. Queste ultime non si rivolgevano a tutti, come Dante stesso precisa, ma solo a quelli che egli definisce ‘fedeli d’amore’. La presenza nei loro versi di un significato nascosto, comprensibile solo a quanti possedevano la chiave per decifrarlo, fa pensare che i ‘fedeli d’amore’ non costituissero un semplice movimento filosofico, ma un vera e propria fratellanza, le cui origini sono da cercare forse nella Provenza dei trovatori e della Cabala ma i cui esiti confluiscono nel Rinascimento fiorentino».Firenze è stata una città che ha traghettato la cultura templare. In che modo? «Numerosi indizi inducono a credere che Dante, Boccaccio ed i ‘fedeli d’amore’ fossero vicini ai Templari. Attraverso la loro filosofia, la gnosi templare sarebbe confluita nell’Umanesimo».