Lo sbirro e la domestica fidata
Il Corriere di Firenze, 21-05-2008, Riccardo Cardellicchio
Le Caramelle di Erminio Serniotti, un noir a due passi da Casale di Prato
Una storia che affiora dal passato e dal cassetto di mutande e calzini«La storia è ambientata a Prato, o meglio nei sobborghi di Prato, a Casale, dove è andato a vivere (e a morire) un anziano e solitario vecchietto. L’omicidio risale a sette-otto anni fa ed è stato archiviato dai poliziotti dell’epoca, incapaci di andare più in là di una improbabile banda delle ville, albanesi di sicuro, che avrebbe fatto il colpo. L’ispettore Pautasso, che è protagonista in genre delle mie storie, dissotterra per caso sul suo tavolo il fascicolo e inizia delle indagini che lo portano indietro nel tempo, molto più indietro. C’è di mezzo la guerra, il fascismo, la Resistenza e soprattutto il dramma della deportazione. La cause remote di quel delitto affondano infatti in quelle vecchie storie. A fianco del personaggio del polizziotto, emerge la figura dell’altro protagonista: Alberto Raugei, l’ex deportato nel lager di Ebensee. Il personaggio è ispirato a una figura reale: l’ex deportato pratese Roberto Castellani, scomparso da qualche anno. Il romanzo vuole anche essere un omaggio a lui».
Il romanzo Caramelle, di cui pubblichiamo alcuni passi della parte iniziale, è pubblicato dall’editore Mauro Pagliai nella collana Giallo e Nero. Perché le cose erano andate per l’appunto così. Il cadavere era stato trovato semicarbonizzato. I piedi infilati nel forno di pietra del giardino, quello fatto apposta per cuocerci le pizze. Cotto a metà. Il fuoco acceso e preparato a puntino. Poi l’operazione era stata interrotta, come se l’assassino, o gli assassini, fossero stati disturbati e non avessero fatto in tempo a finire. E d’altronde la cosa è più che plausibile, essendo che il giardino della villa almeno in parte dà su una strada, certo non di gran transito ma qualcuno ogni tanto ci passa. E poi il fuoco a poco a poco si era spento. Fuori dal forno sporgeva metà del corpo. E la testa era infilata in un sacchetto di plastica, di quelli del supermercato, per la precisione di quello della zona, la scritta lo testimoniava. Evidentemente era stato asfissiato con quello. Prima però forse l’avevano tramortito con un colpo in testa: alla nuca un vasta ecchimosi tra i radi capelli bianchi faceva bella vista di sé. Il sangue malamente rappreso indicava che la ferita era stata l’anticamera della morte: il pover’uomo non se l’era certo procurata in un’altra occasione, non aveva avuto certo il tempo di pulirsela e incerottarsela. Non aveva certo sbattuto accidentalmente in un ramo o qualcosa del genere. Qualcuno gli aveva dato una bella botta in testa. Ci sarebbero arrivati subito anche i sapientoni della scientifica, quelli che prima di dire che uno è morto stecchito rimandano misteriosamente il responso a dopo settimane dei loro esami di laboratorio. Pautasso l’aveva capito subito invece, anche a distanza di anni, appena preso in mano l’incartamento e lette le prime pagine del rapporto, così come aveva capito subito che un rapinatore, dopo aver aggredito un poveraccio, ha altro a cui pensare: sgraffignare tutto quel che trova, scappare il più veloce e lontano possibile con il bottino, far sparire impronte. Solo il commissario De Angelis, o uno come lui, poteva bere la storia che si fosse messo a fare un fuocherello per la pizza.
*** L’aveva trovato la domestica, o meglio la vicina di casa che una volta alla settimana andava a casa sua a fare le faccende. Un vecchio pen
sionato di ottanta anni suonati, un certo Spartaco Calamai, poco conosciuto nei paraggi. Venuto lì da poco. A parte la suddetta domestica, nessuno ci aveva stretto ancora confidenza. E se anche fosse rimasto vivo le cose forse non sarebbero cambiate. Il Calamai non faceva infatti nulla per fare conoscenze, se ne stava per lo più tappato in casa, si faceva insomma i fatti suoi. Non usciva quasi mai di casa, a parte un po’ di spesa, il giornale, l’ufficio postale per la pensione. Mai una volta che andasse al bar o al circolo che nel paese continuavano ancora ad essere, a dispetto dell’imperversare delle televisioni, un punto di riferimento assai frequentato specie per gli uomini di una certa età come lui. Insomma l’unica che avesse qualcosa da dire su di lui, e anche lei piuttosto poco, era per l’appunto la signora che gli faceva le pulizie.
Pautasso si è letto tutti i successivi verbali come si legge un romanzo. Cercando di intuire il finale. Di immaginarsi le scene. Di creare con la fantasia anche quello che le parole scritte tacevano: silenzi, colori, odori, facce, stati d’animo, intuizioni degli investigatori. Quando c’erano. Cioè mai. D’altronde anche questo è un po’ il suo mestiere. Scrivere storie gli piace e non gli dispiacerebbe pubblicarle. Storie poliziesche, ovviamente. Solo sulle cose che conosce si arrischia a dire la sua. E questa che è andato poco alla volta leggendosi nei verbali potrebbe essere una delle sue. Anzi chissà che non decida prima o poi di farne uno di quei suoi romanzi postumi che va accumulando nel suo armadio. Per intanto, lavorando di fantasia, si è ricostruito un po’ meglio la scena dell’interrogatorio della donna delle pulizie. Era stata sentita subito, ovviamente, quando era arrivata la volante da lei chiamata dopo aver trovato il cadavere, poi era stata convocata in Questura per un interrogatorio più ufficiale. “La qui presente Guarducci Rosa, abitante eccetera eccetera, conferma integralmente quanto dichiarato…”. Ma come in tutte le cose la prima volta era quella più interessante.
*** È direttamente Pautasso ad entrare nella villetta di Casale, a visionare velocemente il corpo in giardino e a sedersi poi in salotto con lei. [...] La donna si alza in piedi all’ingresso di Pautasso, anche se forse sarebbe più il caso di dire si abbassa in piedi. Rosa Guarducci è infatti piuttosto bassa, decisamente bassa, un metro e cinquanta scarsi. Quando torna a sedersi lo sguardo di Pautasso non può fare a meno di essere attirato dai suoi piedini che sfiorano a stento il pavimento. La donna invece lancia di sottecchi uno sguardo di delusione e quasi di critica, come se ci fosse rimasta quasi male a vedersi davanti un poliziotto non in divisa.
– Ma lei è davvero della Polizia? –
Un poliziotto senza divisa e pure senza pistola in pugno quando mai si è visto? Pautasso deve fare la sua fatica a convincerla, tirando fuori il tesserino da una tasca, trovandolo solo al terzo o quarto tentativo.
Ma alla fine riesce a farsi raccontare quello che gli interessa.
Rosa Guarducci è vedova precoce di uno dei tanti tessitori della zona e alla di lui morte si è dovuta arrabattare a inventarsi un mestiere per mantenere se stessa e i figli grandi. A cinquant’anni o poco più non ha messo insieme di meglio che andare a fare un po’ di faccende in giro per le case. Un mestiere come gli altri che esercita ormai da un bel po’ di anni con solerzia e soddisfazione reciproca, sua e dei padroni di casa. Calamai compreso, che &
egrave; l’ultimo entrato nella lista settimanale delle case da rivoltare da cima a fondo e rimettere in ordine nelle tre quattro ore pattuite, doverosamente in nero, anche queste con reciproca soddisfazione.
– Non per dire, ma di me si possono fidare… –
Ci tiene a rimarcarlo: le persone e famiglie per cui lavora le lasciano le chiavi di casa e lasciano in giro anche soldi e cose di valore, sicuri di ritrovare tutto al suo posto.
– E poi sono una che si sa fare i fatti suoi, non come certe altre, anche qui del paese, che… Ma quelle durano poco: dopo un po’ le mettono alla porta… –
Ci tiene a mettere i puntini sulle i. Lei fa le faccende e, se vede sente trova qualcosina di storto o imbarazzante, fa finta di niente e se lo tiene per sé. Anche su questo piano si possono fidare di lei.
– Ci vuole discrezione, sa, in questo mestiere… Ma forse anche nel suo, che dice? –
Pautasso non osa metterlo in dubbio. Sa bene come vanno queste cose. Anche lui c’ha una Guarducci Rosa che va a fargli le pulizie un paio di volte la settimana e gli prepara pure qualche mangiarino più decente di quelli un po’ approssimativi che riesce a mettere insieme lui quando torna a casa. E anche lui sa che della donna può fidarsi e può non vergognarsi: non ha ritegno per esempio a dimenticare in giro per la casa certi calzini puzzolenti, di quelli che stanno ritti da soli, e sa che la sua Guarducci Rosa non batterà ciglio.
Se la immagina mentre li raccatta con la punta delle dita e li deposita in apnea nella lavatrice.
Pautasso non mette in dubbio niente, ma ora le cose sono diverse.
– Il povero Calamai ormai è morto… –
– Ma io non so nulla… Vengo, faccio le mie faccende e me ne vado… –
– Guardi che non vuol dire venir meno alla sua fiducia… Anzi, io credo che Calamai per primo sarebbe contento se lei in qualche modo potesse collaborare alle indagini. –
– Mi dispiace, ma cosa vuole che possa sapere? Con me non parlava quasi per niente. Buongiorno, buonasera. Niente di più. –
– Insomma, se per caso ha visto qualcosa di strano…. Qualunque particolare che abbia notato, sentito… A noi potrebbe essere utile. –
Alla fine si convince e racconta di aver notato nel cassetto della biancheria, alla rinfusa tra mutande e calzini, come se fosse nascosto, un pacchetto con dentro un bel mucchietto di banconote e una busta piena di vecchie fotografie. Non che lei sia curiosa, l’ha già detto, ma insomma il pacchetto e la busta aveva finito per aprirli e per dare una sbirciatina al contenuto.
I soldi non erano italiani, non aveva neanche ben capito di che paese fossero, ma erano un bel po’. Le foto, sgualcite e sbiadite, ritraevano da solo o in gruppo un giovanotto sui venti trenta anni che lei aveva intuito essere Calamai stesso, data la somiglianza. Foto dei tempi di guerra o di quando aveva fatto il soldato: vi era ritratto infatti sempre in una divisa militare, di chissà che arma, lei non se ne intendeva.
– Io poi non è che posso saperne di più. Gli ho appena dato una sbirciatina e messo di nuovo tutto via. –
– Capisco… –
– Non sono mica di quelle che mettono il naso negli affari degli altri. –
E nel concludere quella specie di deposizione la perpetua di Calamai, Guarducci Rosa, ridiscende dalla seggiola e si avvia all’uscio, riprendendo borsa e cappotto, mentre Pautasso si appresta ad andare alla ricerca tra la biancheria del morto.