Talani e i suoi Tom Hanks da battigia
Il Domenicale, 05-04-2008, Fabio Canessa
Una grande mostra fiorentina rende omaggio al maestro dell’ultimo monumentale affresco di Santa Maria Novella. In catalogo, anche un pezzo del “nostro” Fabio Canessa che legge da par suo le suggestioni delle opere esposteSulla battigia, gli “animali” antropomorfi di Giampaolo Talani sono pronti per un’improbabile partenza, con le valigie, le cravatte svolazzanti, i pensieri, i ricordi e un’espressione di disarmante perplessità. Eroi senza avventura, mantengono però il fascino misterioso di un Corto Maltese. Pierrot senza trucco, serbano comunque la dignità di chi si ostina ad affrontare la vita con il suo carico di illusioni e delusioni. Viaggiatori immobili e un po’ sgualciti, sembrano la versione postmoderna di quelli che, nel 1873, Giosuè Carducci osservava con amaro disincanto alla stazione in una mattina d’autunno: “Dove e a che move questa, che affrettasi / a’ carri foschi, ravvolta e tacita / gente? a che ignoti dolori / o tormenti di speme lontana?”. Il decoro anonimo dell’abbigliamento non impedisce di coglierne le lacerazioni interiori, sbrindellati come sono, qua e là, da una pittura che li interseca con i sogni che affollano il loro immaginario.
Fra le dune e le ombre, sotto i raggi del sole o nelle notti illuminate dai fuochi d’artificio estivi, c’è chi aspetta, chi cerca, chi ascolta una conchiglia in attesa di una rivelazione, o anche soltanto di una comunicazione. Infatti sono soli anche quando si trovano in compagnia. Mentre il vento di mare impazza e li confonde. Nella democrazia esistenziale della battigia, si mescolano indistintamente vivi e morti (e non è sempre facile distinguerli, perché i vivi sono già un po’ morti e i morti partecipano ancora della vita), padri ricordati che vorremmo incontrare di nuovo e figli a cui affidiamo la speranza del futuro, memorie e sogni, umiliazioni e aspirazioni.
Se una notturna pioggia di stelle cadenti è pronta a regalare l’occasione di esaudire un desiderio, anziché
coglierla con gioia, l’istinto è quello di rannicchiarsi per proteggersi da essa, rifiutando di cedere all’azzardo di tentare la fortuna. Perché l’animo è dimesso, perché manca il coraggio o perché il sogno, da solo, ha già esaurito ogni velleità o energia. Rimangono i castelli di sabbia a rappresentare le fragili, tenere ed effimere architetture dei progetti vagheggiati, delle voglie inespresse.
Ricorrono simbolici talismani, come la rosa, e oggetti capaci di sprigionare queste esistenze trattenute, come gli strumenti musicali, quasi che la bellezza e l’arte avessero il potere di offrire una boa, un ormeggio, un salvagente agli sbandati pellegrini, di orientarli nello sbalestramento di quel viaggio dal percorso incerto che è la vita. L’opera di Talani si interroga ossessivamente sulle coordinate di questo viaggio della vita, nella vertigine di uno spazio, la spiaggia, che è libero e sconfinato quanto invece si presenta sempre uguale a se stesso, fino a generare un paradossale effetto claustrofobico, e di un tempo che mischia le carte del passato, del presente e dell’immaginazione.
Così, con sensibilità tutta contemporanea, le assorte fantasticherie balneari, in mezzo a ombrelloni spazzati dal vento e a donnine che volano sulle ali del desiderio maschile, toccano il tema dell’identità. I personaggi di Talani formano, in un ipnotico gioco di specchi, una continua variante dell’autoritratto dell’artista e insieme il ritratto di noi tutti.
Se si potesse trarre un film dai dipinti di Talani, ne sarebbe interprete ideale Tom Hanks. Non tanto quello di “Forrest Gump”, che comunque non stonerebbe sulla battigia. Piuttosto quello di “Cast away”, lo spaesato Robinson Crusoe postmoderno sulla spiaggia dell’isola deserta (assai più perturbante di quella della costa tirrenica), alle prese con la costruzione di un’esistenza appunto da“cast away”, cioè da “tagliato fuori”, soprattutto quando torna a c
asa (e non poco “cast away” appaiono anche gli animali di battigia).Oppure quello mite, smarrito e indifeso (ma non sciocco e molto dignitoso) di “The terminal”, bloccato dalla burocrazia a vivere nell’aeroporto di New York, che tiene sempre con sé una scatola dal contenuto misterioso, gelosamente custodita come le valigie dei viaggiatori di Talani. Ma forse il più adatto al ruolo sarebbe quello rielaborato in digitale e trasformato in cartoon con la tecnica della “performance capture”, già in perfetta sintonia con un personaggio dall’anima dipinta, del magico “Polar express”.
Il microcosmo della battigia, come quello dell’isola del naufrago o del terminal dell’aeroporto, è infatti il palcoscenico, insieme fiabesco e realistico, di un apologo poetico che nasconde la profondità sulla superficie, alternando i registri della leggerezza fantastica e della pensosa malinconia, dello struggimento e dell’ironia, per mettere in scena la buffa tragedia dell’apolide e la sua crisi di identità.
Dando il dovuto risalto alla commedia dei sentimenti, alle risorse dell’amore e dell’amicizia, ma anche al dramma della solitudine e alla diffidenza del prossimo, crea un fecondo corto circuito fra un cuore antico e un’inquietudine contemporanea, fra senso di smarrimento e bisogno di radici, con l’uggiosa sensazione di vivere una vita incompleta, surrogata o inautentica.
Se la rosa dei venti della bussola non è più lo strumento adatto a orientare il cammino, sarà l’orchestrazione jazz delle pitture di Talani a organizzare il caos dei nostri tempi complicati, a comporre, in una jam session di linee, colori ed emozioni, una nuova armonia del mondo. Facendosi carico delle perplessità e degli smacchi, ma rivendicando con ostinazione il caleidoscopio di vitalità e malinconia, nostalgia e desiderio che presiede al destino di ogni partenza e di ogni ritorno. Come nel finale di “The terminal”, sarà lo swing a salvarci.